Ieri sera Michele Santoro ha offerto un assist irripetibile agli studenti che pacificamente avevano invaso Roma per portare le ragioni di una generazione (quella a cui appartengo anche io) agli occhi degli italiani.
Si poteva finalmente fare chiarezza su una giornata per tanti versi drammatica della storia della Repubblica, il 14 dicembre 2010. Si poteva dire con forza e autorevolezza che gli studenti, con la violenza, non hanno nulla a che vedere. Si poteva dimostrare che migliaia di persone erano in piazza per protestare e che solo poche decine di opportunisti avevano utilizzato quella stessa piazza, incazzata ma democratica, per salire agli onori della cronaca attaccando le forze dell’ordine.
Non era difficile, bastava dire: “A noi la violenza fa schifo, ma rivendichiamo i nostri diritti e chiediamo di essere ascoltati”. Non mi pare che questa dichiarazione potesse essere percepita da alcuno come una resa al Governo, come un passo indietro rispetto a una battaglia che dura da due anni, come un ammiccamento alle istituzioni in un momento di aspro scontro politico e sociale.
La domanda era stata posta in modo diretto e chiaro da tutto lo studio, ospiti politici compresi. Quella frase, però, non è mai stata pronunciata. I tre ragazzi, forse inconsapevoli del fatto che ieri hanno rappresentato centinaia di migliaia di persone, hanno offerto risposte così evasive da far impallidire anche quelle dei politici di professione, cambiando sistematicamente argomento.
Questo comportamento autorizza tutta l’opinione pubblica a pensare che agli studenti, in fondo, non dispiace l’idea di fare a botte con le forze dell’Ordine, che essere anti-Stato non è poi così male, che tutta questa protesta non è a favore del diritto allo studio o a tutela del proprio futuro, o almeno contro la riforma nella sua costruzione, ma è solamente un modo come un altro per attaccare il Governo. Si potrebbe dunque arrivare persino ad affermare (e non mi sorprenderò se accadrà) che una volta passata la riforma-Gelmini ci si lancerà su un altro pretesto per riempire le piazze e per andare all’attacco dei poliziotti.
È incredibile che si possa permettere di far passare l’attuale ministro della Difesa, autodichiaratosi fascista durante la trasmissione, dalla parte della ragione. Lui, che ha picchiato da giovane e che ne va fiero ha dato ripetutamente del vigliacco a Luca, uno dei tre studenti che ha parlato, non tanto perché reputato come violento, quanto perché considerato violento a volto coperto. Dunque, nessuna reprimenda contro l’uso della violenza politica. Idem per Alemanno che porta con orgoglio una croce celtica sul petto, che ha fatto tutta la trafila della destra giovanile e che oggi si indigna, di fatto indignandosi anche del suo passato.
È inaccettabile assommare l’errore strategico di fare una manifestazione il giorno della (s)fiducia al Governo (soprattutto se quella (s)fiducia è stata oggetto di tensioni fortissime nei giorni precedenti, di cambi di casacca, di dubbi, di sospetti, di compravendite) a quello di non dissociarsi pubblicamente dai violenti.
Ora il Governo ha una scusa troppo ghiotta e difficilmente opinabile per non ascoltare gli studenti, le loro istanze, dunque per esacerbare ulteriormente il confronto. Un atteggiamento che presterà un’ulteriore opportunità per l’affermazione di nuove forme di violenza in una spirale di progressiva delegittimazione dello studente come categoria sociale, già matura dopo l’accusa di Berlusconi a chi protestava, accusato di non essere “un vero studente”.
La prossima manifestazione è già stata annunciata per la settimana prossima, i ventisette studenti fermati dopo la giornata di martedì sono stati rilasciati e saranno loro il pretesto con cui il Governo blinderà ulteriormente la città. Qualcuno, tra l’altro, mi spiegherà come gli studenti pensano di poter evitare ulteriori “contaminazioni” da parte dei violenti.
Per concludere, forse dirò un’eresia, ma per tutte queste ragioni temo che la manifestazione di piazza non sia più un formato della protesta che in Italia può funzionare, e non solo per gli studenti. Il sistema mediatico soffoca l’eco di queste contestazioni, che devono cambiare codici, strumenti e linguaggi per essere percepibili. Altrimenti avremo una nuova debacle, come quella forse letale dell’Onda: bastano dieci minuti in TV e mezza giornata a Roma per buttare all’aria due anni di lavoro e chissà quante e quali speranze di cambiamento per questo Paese.