E’morto all’improvviso Tommaso Padoa-Schioppa. A 70 anni l’economista ha avuto un arresto cardiaco e, nella notte di sabato, è mancato. Ministro dell’Economia del governo Prodi, economista, professore, instancabile europeista, aveva guidato la Consob (l’autorità che vigila sulla Borsa), era stato banchiere centrale, prima alla Banca d’Italia poi alla Banca centrale europea, dove ha potuto contribuire alla realizzazione di un progetto politico ed economico di cui è stato tra i massimi sostenitori, la costituzione della moneta unica europea. Adesso, fuori dalla politica attiva, presiedeva il centro di ricerca fondato da Jacques Delors Notre Europe e scriveva editoriali per il Corriere della Sera e il Financial Times. Da gennaio avrebbe fatto parte del consiglio di amministrazione di Fiat Industrial, la parte del Lingotto che si occupa di macchine agricole e commerciali.
Pochi, nella storia recente dell’Italia, hanno incarnato come lui la figura del civil servant, in una carriera al servizio dello Stato che, al di là di ogni retorica postuma, lo ha sempre visto anteporre gli interessi del Paese – “si chiami Italia o si chiami Europa”, come diceva l’avvocato Giorgio Ambrosoli nella sua ultima lettera – a quelli, pur legittimi, di carriera personale. Da ministro, tecnico, del governo Prodi si conquista una certa impopolarità per il rigore con cui interpreta il mandato, soprattutto quando sintetizza in modo un po’ rude ma efficace, come suo solito, l’urgenza di mandare i “bamboccioni” fuori di casa, senza paternalismo ma intuendo con anni di anticipo sulle rivolte di piazza di queste settimane il disagio di una generazione: “Incentiviamo a uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi. È un’idea importante”. Da destra non hanno mai dimenticato il suo elogio delle “tasse bellissime”, espressione considerata da molti infelice ma che era una reazione al populismo antifiscale dei berlusconiani allora all’opposizione. Un elogio che ribadiva il legame inscindibile tra democrazia rappresentativa e imposizione fiscale, a partire dal principio no taxation without representation che innescò la rivoluzione americana. Ecco cosa diceva Padoa-Schioppa: “La polemica anti tasse è irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l’istruzione e l’ambiente”.
Uomo schietto, abituato a pesare le parole ma non a risparmiarle, Padoa-Schioppa non ha mai nascosto in questi ultimi mesi il suo apprezzamento per l’operato di Giulio Tremonti, suo successore che pur non brillando per innovazione è riuscito a non dissipare del tutto l’eredità di solidità fiscale lasciata dal governo Prodi. In un suo libro recente per Il Mulino, Padoa-Schioppa rifletteva sulla crisi finanziaria in corso da analizzare senza allarmismi o riduzionismi, individuandone l’origine nella “veduta corta di una spanna”, cioè quello che definiva “l’accorciarsi dell’orizzonte temporale dei mercato, dei governi, della comunicazione, delle imprese, delle stesse famiglie”. E invitava a non arrendersi al pessimismo: “Il passato è uno, il futuro è molteplice. Il futuro non giace sulle ginocchia di Giove, né sta scritto in alcun luogo. Siamo noi a scriverlo con le nostre azioni e le nostre scelte, trasformando il molteplice in uno. Ecco perché il presente è la linea della nostra libertà”.