Riccardo Noury, portavoce dell'associazione internazionale in Italia commenta: "Il rapporto descrive la condizione di migliaia di persone che fuggono da fame e torture e che giunti in Libia trovano un casello obbligato dove i loro diritti non sono riconosciuti”
Il traffico di esseri umani nel nostro paese non si ferma. Nonostante il trattato di amicizia sottoscritto dal governo con il regime libico. Mentre i trafficanti continuano a gestire questo mercato criminale, la situazione per i rifugiati in Libia è drammatica. Proprio in questi giorni l’organizzazione internazionale Amnesty International lancia un nuovo appello all’Italia, nel mirino dell’associazione internazionale proprio per le politiche dei respingimenti adottate in partnership con la Libia: un nuovo inferno per i tanti migranti e richiedenti asilo in fuga dai conflitti armati. “Vanno incontro alla tortura – denuncia l’appello – e al carcere a tempo indeterminato nel loro tentativo di arrivare in Europa attraverso la Libia”. Amnesty ha presentato anche un rapporto intitolato: “Cercare salvezza, trovare paura: rifugiati, richiedenti asilo e migranti in Libia e a Malta”. Riccardo Noury, portavoce dell’associazione internazionale in Italia commenta: ”Questo rapporto descrive la condizione di migliaia di persone che fuggono da fame e torture e che giunti in Libia trovano un casello obbligato dove i loro diritti non sono riconosciuti”.
Nel rapporto i migranti raccontano le loro condizioni di detenzione e le violenze subite. Tra le tante silegge quella di una coppia somala. “Ahmed Mahmoud e Miriam Hussein arrivati in Libia, hanno vissuto nel costante pericolo di essere arrestati, non hanno potuto trovare un lavoro e sono stati rapinati ripetutamente, fino a quando hanno deciso di tentare di raggiungere l’Europa via mare. Miriam era incinta di sette mesi”. Lo scorso 17 luglio, la coppia insieme ad altri connazionali, a bordo di un barcone in avaria, è stata soccorsa da imbarcazioni maltesi e libiche. Miriam Hussein, con altre 26 persone è stata riportata in Libia mentre le altre 28, compreso Ahmed Mahmoud, sono state condotte a Malta. “Il gruppo di cui faceva parte Miriam Hussein è stato immediatamente portato in carcere. Gli uomini hanno fatto sapere di essere stati picchiati e torturati con scosse elettriche. Due mesi dopo, Miriam Hussein ha partorito un feto morto”.
Abdi Mahmud anche lui somalo, è scappato dalla sua terra dopo che le bande armate gli hanno ucciso il fratello. Nel luglio di quest’anno ha raggiunto Malta dopo essere stato in Libia. Mahmud racconta la sua esperienza nelle carceri libiche, i segni li porta ancora sul corpo per le percosse subite. Mahmud non è l’unico a ritrovarsi a Malta alla fine del viaggio della speranza. Come lui, tra il 2002 e il 2009, ci sono altre 13 mila persone. Sulla base delle leggi maltesi, ogni persona che arriva per la prima volta sul territorio, compresi i richiedenti asilo, viene considerata “migrante proibito” e rischia la detenzione obbligatoria a tempo indeterminato, in pratica fino a 18 mesi.
Una situazione incontrollabile di cui l’Unione europea non si occupa. Anzi. L’Ue nel tentativo di tamponare i flussi migratori abbassa i livelli di attenzione sulla situazione dei migranti richiedenti asilo e sulla condizione ‘disastrosa’ dei diritti umani in Libia. Il regime di Gheddafi non ha aderito alla Convenzione sullo status di rifugiato del 1951 e non ha una legislazione nazionale in materia di asilo né un sistema di protezione dei rifugiati. Sul banco degli imputati di Amnesty finisce anche il governo italiano e la politica dei respingimenti, fortemente voluta dal ministro degli interni. “L’Italia dovrebbe introdurre – conclude Noury – una dimensione dei diritti umani nell’accordo con la Libia, quel trattato non funziona perché significa respingimenti e violazione dei diritti umani”.
Intanto la tratta di esseri umani resta un mercato fiorente. Un ruolo centrale è svolto dalla Libia, punto di incrocio di trafficanti senza scrupoli e di migranti richiedenti asilo, costretti al carcere. L’ultima inchiesta della Procura di Napoli ha scoperto un’organizzazione criminale che sfruttava ragazze nigeriane, costrette a prostituirsi. Circa mille donne venivano trasferite ogni anno in Italia. L’indagine ha monitorato almeno sei viaggi. Le donne finivano sul litorale domitio flegreo, nel casertano, vendute alla madame in blocchi di 10-15. Un orrendo mercato dei corpi per finanziare il traffico della droga. La rete criminale sceglieva le giovani in base alla bellezza e anche alle possibilità economiche della famiglia per far fronte alle spese di viaggio. Le ragazze e i migranti nigeriani venivano trasferiti in Libia dove pagavano l’alloggio in campi o abitazioni, prima di partire verso l’Italia con passaporti falsi per viaggiare in aereo. In questo modo si aggirava anche il pattugliamento nel Mediterraneo. Alcuni non riuscivano a raggiungere il nostro paese perché morivano per denutrimento o per le enormi difficoltà del viaggio verso la Libia, dove restavano in campi di attraversamento per settimane. Le ragazze che non resistevano per le miserevoli condizioni igieniche e alimentari, venivano abbandonate e vendute al migliore offerente. L’organizzazione aveva il referente principale proprio in Libia, il paese di Gheddafi.
di Nello Trocchia