A Maastricht, la città del trattato europeo sulla libera circolazione delle persone, possono fumare marijuana solo i residenti. La Corte di Giustizia europea ha sancito il diritto delle autorità locali a vietare l’accesso ai coffee shop ai forestieri per arginare il cosiddetto “drug tourism”, fenomeno che porta nella piccola cittadina olandese circa 3,9 milioni di persone l’anno. Una sentenza che non può che far discutere, vista la decennale tradizione olandese di tolleranza delle droghe leggere e l’ormai abituale turismo di massa dei suoi consumatori. Lo stop agli stranieri è dovuto all’aumento del disordine pubblico causato dall’afflusso incontrollato di giovani soprattutto da Francia, Belgio e Germania, nonché da alcuni recenti episodi di violenza tra trafficanti di droga scoppiati nel sud del Paese.
Si perché, contrariamente a quanto si pensa, in Olanda le droghe leggere non sono legali ma solo “tollerate”. Vuol dire che ne è consentita la vendita solo ai locali muniti di licenza e per un massimo di 5 grammi (Opiumwet 1976). La produzione resta vietata, tanto che gli stessi proprietari di coffee shop sono costretti a rivolgersi al mercato nero. Una situazione che lascia il Paese in una sorta di limbo normativo dove con una mano si permette e con l’altra si vieta. E la malavita ne approfitta: il mese scorso regolamenti di conti tra bande di trafficanti hanno portato a due morti nella regione del Brabant (tra Olanda e Belgio) e all’esplosione di un coffee shop a colpi di granata. Il sindaco della cittadina di Helmond, Jacob Fons, è stato costretto a scappare perché minacciato di morte. Proprio in questa regione, secondo il portavoce della polizia locale, viene coltivata molta marijuana e non solo per il mercato olandese.
Con le recenti restrizioni, la situazione potrebbe peggiorare. Secondo Nicole Maalste, criminologa all’università di Tilburg (Olanda) ed esperta di droghe leggere, “se si limita l’accesso ai coffee shop ai residenti, si costringerà il 75% della popolazione olandese che non vive in città con esercizi di questo tipo a rifornirsi dai trafficanti”. Inoltre, secondo la Maalste, “proibire l’accesso agli stranieri priverebbe il paese di importanti introiti in tempo di crisi economica”. Infatti, secondo uno studio commissionato dai proprietari di coffee shop di Maastricht, il “drug tourism” versa nelle tasche della città circa 141 milioni di euro l’anno, senza contare i soldi spesi per la cannabis. Un flusso di circa 4 milioni di turisti solo nella piccola cittadina olandese.
Ma il governo nazionale, una coalizione di due partiti di centro destra e dello xenofobo PVV di Geert Wilders, sembra non sentire ragioni. L’impressione è che si voglia estendere il limite di accesso ai coffee shop a tutto il Paese. Un trend proibizionista che sta montando da anni e che ha visto crollare il numero delle licenze degli esercizi abilitati alla vendita di cannabis da 1200 a meno di 700, con regole sempre più strette e, spesso, contraddittorie.
Proibizionismo al quale l’UE sembra strizzare l’occhio, vista che sentenza della Corte di Giustizia che, interpellata nel 2005 per difendere “la discriminazione tra cittadini Ue”, ha sancito che la “necessità di contrastare la droga è uno dei pilastri della normativa europea, quindi il divieto di ammissione dei non residenti ai coffee shop costituisce un provvedimento idoneo a limitare in modo sostanziale il turismo della droga e i problemi da esso causati”.
Preoccupato Marco Cappato, del partito Radicale ed ex europarlamentare: “L’esperienza olandese è fragile perché non è una vera e propria liberalizzazione con l’intera produzione della cannabis ancora in mano alla criminalità”. Secondo Cappato, responsabile del turismo di massa in Olanda non è la “tolleranza” del paese ma il “proibizionismo” del resto d’Europa. “Senza contare le pressioni diplomatiche che l’Olanda ha subito da Stati come la Francia, che ha più volte sospeso gli accordi di Shengen sulla libera circolazione al confine con il Belgio con la scusa dei controlli anti droga”.
Sul piede di guerra i proprietari dei coffee shop. Marc Josemans, il proprietario del locale di Maastricht all’origine della querelle, non ha dubbi: “Le persone fumano da cinquemile anni e continueranno a farlo. La questione è una sola: preferiamo che lo facciano in un locale chiuso e controllato o preferiamo spingerle con la repressione a rivolgersi al mercato dei trafficanti?”.