Zitti, zitti, alla chetichella Angelo Balducci, Fabio De Santis e Francesco De Vito Piscicelli, il costruttore ridens del terremoto aquilano, sono tornati in libertà. Non si può dire che siano tornati a casa, perché a casa c’erano già dall’estate scorsa. Ricordate Balducci sul bordo della piscina nella sua villa alle porte di Roma (la più amata per arresti domiciliari). Forse sono stati gli ultimi a uscire, gli altri della Cricca, se non ricordiamo male, sono da tempo a piede libero. Ma anche non fosse così fra pochi giorni scadono per tutti i termini di custodia cautelare. Per i tre l’unico obbligo è la firma un paio di volte alla settimana- martedì e giovedì- presso una caserma. Bella scocciatura, ma durerà poco. Qualcuno tornerà al lavoro, altri aspetteranno che le acque si plachino. L’unica cosa che conta davvero è la libertà.

Se pensiamo a Tangentopoli, stavolta è mancato il senso del dramma. Nessuno si è suicidato – per fortuna – ma anche nessuno ha pianto, si è disperato, ha gridato all’onore perduto. Niente, tutti si sono comportati da vere pellacce! Sono andati in prigione senza battere ciglio, hanno scelto grandi avvocati, hanno raccontato quello che non potevano negare, patteggiato l’ indispensabile. Sicuri della proprio innnocenza o della propria impunità? Forse consapevoli che un prezzo prima o poi andava pagato. Mai come oggi affari e politica sono andati a braccetto, Berlusconi docet. Ma se c’è una differenza tra ieri e oggi è che un tempo si rubava per il partito, oggi si ruba per se stessi all’interno di un gruppo in cui sono gli interessi personali a prevalere. Se il sistema regge, reggi anche tu, se aiuti a smantellarlo sarai il primo a pagarne le conseguenze.

Forse per questo sono state poche le chiamate di correo, soltanto Diego Anemone ha fatto qualche ammissione ed è stato il primo a uscire. Forte di una modesta azienda artigiana in quel di Grottaferrata, quando è finito in carcere per il G8 il giovaveva già vinto nel Lazio ventuno appalti per 100 milioni di euro. Grazie a Balducci, padre Bancomat, alias Evaldo Biasini che gli teneva il fondo cassa. E grazie anche a Guido Bertolaso, l’ex superman dei disastri nazionali, uscito indenne o quasi da massaggi incriccati e feste megagalattiche, ma soprattutto da quel “sistema gelatinoso” che avvolgeva i pubblici appalti di cui era dominus e arbiter.

Accantonato per limiti di età, Bertolaso attende serafico il nuovo incarico che Berlusconi gli ha promesso. E c’è da chiedersi che fine ha fatto Scajola, chissà se poi l’ha davvero venduta la casa al Colosseo di cui si è trovato proprietario a sua insaputa? Eppure è stato l’unico a dare le dimissioni, di rimozioni neanche a parlarne. Denis Verdini è sempre lì che fa il coordinatore nazionale del Pdl. Quando ad agosto fu costretto a dare le dimissioni dalla sua banca, quel Credito Cooperativo Fiorentino snodo tangentizio di tutte le cricche, sembrava finito. Ora si permette perfino di zittire il presidente Napolitano.

Dell’Utri, Cappellacci, Formigoni… tutti ai loro posti. Intanto le inchieste si moltiplicano e nessuna si chiude. Sono tornati a casa perfino un paio di “pensionati sfigati” della P3, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi, ma solo perché hanno cantato. Resiste il mitico Flavio Carboni che continua a negare tutto. Chi glielo fa fare, il 7 gennaio uscirà, anche lui, scadono i termini della custodia cautelare. Sotto processo ci sono finiti soltanto Gennaro Mokbel e i suoi sfigatissimi riciclatori di denaro sporco che sembrano usciti da un romanzo criminale di serie B. Perfino Nic Di Girolamo, eletto dalla ‘ndrangheta, è tornato a casa (in cambio di cinque milioni di euro).

Per farla breve è passato un anno dall’assalto delle toghe e non è successo niente. Con Tangentopoli dopo sei mesi era venuta giù come un castello di carte la prima Repubblica. Forse lo scossone ci sarà fra qualche mese, dicono, ma a furia di rinviare c’è il rischio che scadano i termini anche per i magistrati.

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