Politica

Il politico e il ragazzo rumeno

Uno vende i voti. Laltro piglia le luparate

Da Barcellona Pozzo di Gotto – ridente cittadina tirrenica, ad alto tasso mafioso – sono giunti alle cronache due nomi. Uno, a modo suo famosissimo, è Domenico Scilipoti, l’ultimo Giuda di quel povero cristo di Di Pietro e anche, indirettamente, di noi tutti. Pagine e pagine ha avuto, dai giornalisti di palazzo: ha esternato in tv le sue ragioni, ostentando disprezzo per quei trenta denari.

L’altro nome è quello di un ragazzo rumeno di vent’anni, tale Petre Ciurar. Stava in una baracca lungo la ferrovia, con la moglie e un bambino di nove mesi, una di quelle baracche che periodicamente i barcellonesi più attenti alla politica nazionale vanno a incendiare con la benzina.

Stavolta niente fiaccole, ma colpi di pistola e lupara: Petre è morto così (era in Italia da un mese: che “sgarro” aveva potuto commettere nel frattempo?), la donna è rimasta lievemente ferita e il piccolo, chissà come, del tutto illeso. I carabinieri indagano, non escludono mafia, ma più che altro pensano a un atto di “semplice” razzismo.

La notizia è stata data dal corrispondente del giornale locale – non l’ha ripresa nessuno -, il giorno dopo è arrivata la notiziola (più breve) dell’autopsia, e poi non se n’è parlato più. Tutto questo è successo più o meno negli stessi giorni, e forse a pochi chilometri di distanza, in cui il buon Scilipoti faceva alta politica col governo.

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Ecco, di questo parliamo quando parliamo di questi giorni. Puoi morire così, a luparate e in silenzio, come un sindacalista anni Cinquanta, se sei un rumeno. Certo, c’è stata violenza quel giorno a Roma. Vetrine rotte, sassi gettati e altri atti sciocchi. Ma molta di più ce n’è stata, in quei giorni, a Barcellona. Quella contro Ciurar, sottouomo rumeno, senza diritti. E quella contro di me, cittadino italiano, con diritti, la cui volontà elettorale è stata venduta e comprata da Scilipoti e Berlusconi.

Di questo stiamo parlando, quando parliamo di cosa fare. La violenza è pesante, la violenza dilaga, non son tempi normali. Chi ammazzeranno, il prossimo? Sarà un altro zingaro, o un negro? Che cosa mi ruberanno, la prossima volta? Già comprano e vendono i voti, già non mi fanno votare.

Io i sassi miei a suo tempo li ho gettati (ma ero in compagnia ottima: Peppino Impastato, Rostagno) e ho le idee chiarissime su quando servire possono e quando sono solo uno sfogo. Adesso, con tutto il rispetto, non servivano. Non credo che ci vogliano gran prediche, neanche fatte da me che pure sono fra i più credibili perché non ho una lira in tasca.

Credo che dobbiamo invece ragionare seriamente su come si sta in piazza nel 2010 – in questa che, per noi bianchi, non è una società repressiva ma una società dell’imbroglio – non per “moderarsi”, per fare i bravi ragazzi, ma proprio per fare danno, per togliere consenso e forza al Berlusconi di adesso e ai berluschini che seguiranno subito dopo. Hutter, sul blog del Fatto, ha detto delle cose serie. Serie perché dette da Hutter, che non è un fighetto da dibattito ma uno che, ai tempi suoi e miei, ha affrontato i poliziotti cileni di Pinochet.

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Partiamo da un dato semplice: il governo è illegale. Perché? Perché compra i voti in parlamento. Non è una battaglia politica, quella di questi giorni – e già sarebbe nobilissima, coi ragazzini in piazza a difendere il maestro Manzi, il mio professore di greco, le tabelline insegnate al popolo, l’aritmetica e la grammatica, la Scuola.

E’ la disperata difesa del mio Paese, l’Italia, diverso dalla Libia di Gheddafi e dalla Russia di Putin. Per questo, non possiamo commettere errori.

Fra loro, fra i politici, non è successo niente. “Il governo può continuare”, “ha ragione Marchionne”, “mica vogliamo le elezioni”. Si accorderanno. Ma noi no, per noi non  continua così. Rassegnati, routinati, di nuovo a mordicchiarsi a vicenda: così, per loro politici, è il giorno dopo. Bersani sotto assedio, i “rottamatori” che rottamano, Veltroni che aleggia e Fini e Montezemolo e Casini: di questo stanno parlando, questo è importante per loro. Ma per noi no, noi non possiamo affrontare un altr’anno così.

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“O le sassate o Casini”: questo, in estrema sintesi, ciò che ci sbattono in faccia i gattopardi. Ma noi non vogliamo né sfogarci coi sassi né regalarci a Marchionne sotto le vesti di Fini o Casini. Vogliamo un governo diverso, con una maggioranza reale. Perché non siamo affatto minoranza, noi, nel paese vero: siamo soltanto divisi. Vogliamo un governo serio, civile, democratico, più forte della Fiat e dei veri padroni.

Non ce lo può dare il centrosinistra, non ne ha la forza da solo. Non ce lo può dare se si allarga a destra – dovrebbe tradirci, prima. Ce la può fare solo se si allarga sì, ma trasversalmente, saltando sopra gli apparati, unendosi alla società civile.

Per questo ci serve una candidatura forte, una candidatura non “politica” ma sociale. Non l’uomo forte, il salvapopolo (ce n’è già tanti) ma un Pertini. Non c’è lotta sociale più acuta di quella che conduciamo ogni giorno, noi antimafiosi, contro i poteri mafiosi. Poliziotti e compagni, operai e insegnanti, “moderati” e ribelli, qui e solo qui siamo nello stesso fronte, siamo uniti.

Rostagno e Borsellino, La Torre e dalla Chiesa: ma non lo sentite cosa vi dicono, insieme, questi nomi? Perché non partire da qui? Di che avete paura? E’ una cosa reale, questa, non un’utopia.

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