Diritti

Splendori e miserie del consumerismo

Un uomo è quel che finge di essere, sicché deve prestare molta attenzione a quel che fa finta di essere”
(Kurt Vonnegut-Madre Notte)

Sono passati più di vent’anni dall’irrompere sulla scena italiana delle prime associazioni di consumatori, emule del modello americano, determinate ad approcciarsi con cultura frontista al mondo del consumo globale, vogliose, soprattutto di far lobby, al pari delle loro controparti, in favore dei soggetti deboli: dunque ancora una volta Robin Hood contro lo sceriffo di Nottingham.

Erano, le prime associazioni, piene di reduci delle più varie esperienze politiche movimentiste, figlie dunque dello scacco di un pensiero che aveva voluto interpretare la politica come totalità e che dunque ora consumava la sua, forse non consapevole, vendetta, trasformando i cittadini in consumatori.

Quell’approccio oggi sembra aver vinto: le associazioni si sono moltiplicate come funghi, sono nate trasmissioni televisive (tanto note che non mette conto parlarne) ed anche il legislatore ha preso atto del fenomeno, licenziando, or sono quattro anni, un Codice del Consumo (la cui insufficienza di scrittura meriterebbe un capitolo a parte), e moltiplicando, del pari Autorità di Controllo (la cui carenza di autorità ha già meritato, da parte sua, più di un capitolo).

In parallelo però, in altri settori, lo spirito del tempo ha proceduto in altra direzione; così, si è fatto strame di altri diritti e, al contempo, sindacati, partiti ed altri organismi di rappresentanza han perso peso e, quel che è peggio, autorevolezza: diritti politici, diritti sindacali, diritti della personalità sono andati affievolendosi: alla fine sul campo è rimasto il cittadino, e al suo posto, da quella crisalide delle rivoluzioni borghesi, ecco emergere la farfalla consumatore.

Si avrà facile gioco a replicare che i due fenomeni non sono connessi e che comunque un’espansione del principio di eguaglianza sostanziale, per quanto settorialmente limitato, sia da salutare con l’entusiasmo che merita ogni estensione del metodo partecipativo, e che semmai bisognerebbe battersi contro la restrizione degli altri diritti.

Vero solo in parte; la percezione è piuttosto quella che si sia assistito ad una vera rivoluzione culturale, in cui la Storia ha posto in essere una classica operazione a somma zero, talché, nel momento attuale, la percezione di se stessi come soggetti portatori di diritti ha finito con l’incanalarsi esclusivamente verso quello che è descritto come il momento topico dell’esperienza quotidiana, il momento del consumo, quel momento che infatti ci merita, nell’archetipica rappresentazione di una pubblicità quanto mai esemplificativa, il grazie grato della comunità di appartenenza.

D’altra parte, se è vero che i consumatori hanno dunque preso il centro della scena, c’è comunque da interrogarsi se a questa apparente ipertrofia della categoria corrisponda un’effettività della tutela, un reale riequilibrio di forze rispetto alle categorie produttive: c’è da dubitarne a fronte di un potere sanzionatorio risibile, al cospetto di oligopoli e cartelli che quand’anche non infiltrassero i gangli vitali del potere come effettivamente fanno, non percepiscono minimamente sulla propria pelle le conseguenze dell’antigiuridicità delle proprie condotte.

Al tirar delle somme allora, si può tranquillamente dire, ove mai vi fossero stati dei dubbi, che il baratto non sia convenuto: i panni del cittadino sono forse più scomodi e impegnativi ma è tempo di indossarli di nuovo, se vogliamo tornare a dar senso alla parola democrazia, perché è solo tornando a parlare dei nostri diritti tout court, senza aggettivi che fingendo di estendere la tutela, surrettiziamente la restringono, che torneremo ad essere delle persone e non solo una voce infinitesima nella partita doppia di qualche azienda, fingendo magari che interi paesi non siano essi stessi altro che enormi aziende.