E’ quasi Natale, lo so, ma oggi come sempre sono andata a lavorare alla biblioteca Sormani – calda, comoda e con i libri giusti. Prendo l’ascensore al volo che quasi mi prende in mezzo. Da dentro un ragazzo – o meglio un uomo, avrà avuto 30 anni ma non era facile dire la sua età – certamente arabo e mediorientale, con i capelli nerissimi impomatati di gel e la barba un po’ lunga, vestito di un bel giaccone firmato, sciarpa di seta e Adidas – non mi chiedete i pantaloni perché non l’ho guardato sotto la cintura – mi apre le porte sorridendo. Mi fa un galante cenno di entrare. Gran bell’uomo, cortese e sorridente. Niente della tipica tensione milanese addosso.
Mentre entro in ascensore si infila, spintonandomi leggermente, anche un ragazzo italiano, avrà avuto sì e no 23-25 anni – con l’iPod a tutto volume con pessima musica metal, fra l’altro. Lo guarda con aria di sfida, lo vedo dallo specchio. Alza il volume dell’iPod.
Arriviamo e il tizio arabo mi fa uscire per prima, dietro di me esce il ragazzo con la musica. Sento uno sbuffo, il pischello sibila “Che puzza che schifo!” mentre mi sorpassa. Ha un’aria disgustata.
In effetti i vestiti dell’uomo arabo odorano di stantio, appena mascherato da un forte profumo speziato. Ci ho fatto caso ma l’ho dato per scontato: chi viene dall’Asia porta addosso questo odore anche quando passa, come fanno gli indiani, gran parte del suo tempo sotto i getti d’acqua, le docce, le abluzioni – rituali o meno. E’ un odore intenso che rimane appiccicato anche sugli oggetti, persino sulle valige, tanto che la mia gatta, quando torno dall’Asia, le odora a lungo e poi ci si stende beata sopra. E’ il motivo per cui gli agenti sotto copertura che lavorano nei paesi asiatici prima di partire non usano sapone per un po’ e mettono vestiti stazzonati: la mancanza assoluta di odore li tradirebbe.
E’ di moda parlare di tolleranza, specie sotto Natale. Siate tolleranti qui e siate tolleranti là.
Come direbbe un mio amico, bullshit. Dove sta questa tolleranza, se basta un odore diverso che anche il più alternativo dei ragazzi diventa cafone e razzista? Beninteso, io non soffro di buonismo gratuito e se uno non si adegua alle leggi di questo paese allora è meglio che se ne vada (e vorrei fare questo discorso anche agli italiani). Ma che male faceva quest’uomo in ascensore? Nessuno, odorava solo e per il resto era tutto un sorriso, anche con il ragazzo italico. Come se in autobus, d’estate, non si sentissero ascelle milanesi ben più maleodoranti: prendete il 94, percorso pieno centro, e vedrete.
Ma io non parlo di tolleranza, nossignore. Perché chi vuole essere tollerato? Non bisogna tollerare un uomo che ha un odore che non ci piace, bisogna accettarlo. E’ di moda parlare di tolleranza in politica, nel dialogo interreligioso, nelle scuole. Ma voi non vi sentireste patronizzati se qualcuno vi facesse sedere a tavola e vi tollerasse? O se nel posto di lavoro vi si tollerasse? Si tollera chi in fondo ci disturba – come un adolescente riottoso o un cane che ci sta appiccicato mentre mangiamo, per chiederci dei bocconcini. Si tollera una donna di servizio fidata ma linguacciuta. Si tollera un bambino che chiede di continuo il perché e il percome e magari siamo stanchi e lo sopportiamo a fatica. Si tollera, insomma, chi si considera in qualche modo inferiore a noi.
Ecco, questa gente, queste migliaia di persone che vengono dall’Asia, che popolano le nostre case e i nostri aereoporti – le pulizie le fanno tutte loro – sono spesso tollerate. Ma non accettate. Non considerate alla pari, stessi diritti e stessi doveri. E se vengono da fuori, se sono immigrati, almeno che siano figli di principi, accidenti, o di maharaja, di ricchi industriali! E invece no, spesso sono dei poveracci che, come noi in USA agli inizi del secolo scorso, sono sbarcati in cerca di fortuna da paesi molto difficili come la Palestina, il Pakistan, l’Afghanistan. Che sfuggono persecuzioni di vario genere o, semplicemente, vengono qui perché la nostra spazzatura è comunque più ricca della loro tavola.
Sì è vero, spesso in Asia ci odiano: ma non ne hanno tutte le ragioni? Lasciamo da parte Wikileaks e la questione dell’invasione dell’Iraq progettata nel gennaio 2001 e non a seguito degli attentati dalle Torri Gemelle, come difesa cioè contro il terrorismo. Era un puro interesse economico. Pensiamo solo alla storia.
Secoli di dominio coloniale in Asia e in Africa hanno lasciato, oltre che risentimento, vuoti di potere e incapacità della classe politica locale a governare – perché i colonizzatori badavano bene a non mettere gli indigeni nelle file più alte dell’amministrazione e a non addestrarli adeguatamente – la cultura è potenzialmente pericolosa, si sa. Hanno lasciato liti e divisioni, come è successo in India, dove il British Raj ha diviso induisti e musulmani per governare con più facilità, con il risultato che il 14 agosto 1947, un giorno prima della dichiarazione dell’indipendenza dell’India, è stato formato il nuovo stato del Pakistan. Per non parlare dei massacri da parte dei colonizzatori, con crudeltà di ritorsione tanto feroci quanto inutili – valgano per tutti quello terribile seguito alla rivolta dei Sepoy del 1857, o quello degli algerini da parte dei colonizzatori francesi del 1945, quando una sfilata da parte dei musulmani di Sétif per celebrare la vittoria contro il nazifascismo finì in uno scontro sanguinoso e una carneficina.
Chi studia colonizzazione e decolonizzazione conosce bene la durezza del colonialismo, la spietatezza degli interessi economici per la conquista dei mercati e degli spazi strategici mondiali e, infine, la rinascita dell’Islam come critica al capitalismo dominante e come fattore di coesione locale. Ma gli ex colonizzati non hanno tutti i torti, detesterei anche io chi mi domina e vuole imporre con la forza i suoi interessi a casa mia.
Quindi la politica della tolleranza non mi piace. Gli inviti a “tollerare” un arabo, un indiano, un filippino, un africano, un cinese, non mi piacciono. Ci vuole rispetto, un rispetto reciproco. Come mi disse qualche anno fa Fosco Maraini, sotto la pelle del ginocchio il meccanismo è lo stesso per tutti. Nelle cose essenziali siamo tutti uguali.
E poi, anche voi che vi sentite così aperti e moderni perché invitate alla tolleranza, numeri alla mano gli economisti sono d’accordo: nel 2040, forse prima perché la Cina diminuisce i suoi dati di crescita (al contrario di quello che fanno i paesi occidentali, che l’aumentano per incutere “fiducia” nei mercati, la Cina non vuole spaventare i mercati esteri!), il PIL della Cina avrà sorpassato di gran lunga quello degli Stati Uniti e del Giappone. La Cina sarà insomma la prima potenza mondiale. Secondo posto gli USA, terzo posto il Giappone e quarto posto l’India. Poi verrà la Germania. Solo se l’Europa sarà in grado di attuare una vera politica economica comunitaria e di aumentare collettivamente la crescita del PIL, cosa che per ora non è in grado di fare, sarà in grado di competere con altri stati, ma sempre dopo la Cina.
La Cina sarà dunque la padrona indiscussa dei mercati e delle borse. Questo vuol dire che si potrà permettere, come già fa in parte, una politica svincolata dai giudizi e delle dinamiche internazionali. Ha oltre 1.300.000.000 abitanti, è la nazione più popolosa del mondo e ha il tasso di crescita economica più alto, e questo è vincente perché decide il mercato internazionale e le politiche finanziarie.
Quindi, cari amici che invitate alla tolleranza, anche se il discorso etico non vi ha convinti sarà meglio che impariate a rispettare e accettare il cinese, l’indiano e così via come uguale e alla pari. Che succederà domani quando un Ramirez, un Singh, un Malik, regolarmente nati in Italia, faranno i concorsi statali, voteranno, si presenteranno ai colloqui di lavoro? Siamo pronti ad accettarli come sono pronte le persone e le leggi in Germania o in USA? E siamo pronti ad avere dei nipotini neri o ambrati – o li tollereremo e basta?
L’Asia avanza ed è sempre più forte, gli immigrati sono una forza lavoro insostituibile e danno un apporto culturale prezioso e, in più, spesso fanno parte di paesi che fra poco decideranno le sorti del mondo: fatevene una ragione.