La Banca d’Italia dice che nel 2009 tutte le famiglie possedevano più o meno 350 mila euro in beni di vario tipo. E’ la vecchia storia dei morti sulle autostrade. Se ogni anno ci sono mille viaggiatori e cinquecento morti, significa che siamo tutti mezzi morti.
Invece la vita insegna che c’è chi muore e chi se la spassa. Nella fattispecie, delle 24.905.042 famiglie italiane [al 31 dicembre 2009, fonte Istat], ce ne sono 2 milioni, 490 mila e 504 che se la spassano, possedendo oltre il 45% dei 9 miliardi e mezzo di euro cui assomma la ricchezza lorda di tutte le famiglie messe insieme, e oltre 12 milioni (12.452.521) che se la vedono male, dovendo spartirsi un misero 10%.
In parole povere, col cavolo che la ricchezza di ogni famiglia assomma a 350 mila euro: ci sono 10 famiglie su 100 che hanno in media un milione e mezzo di euro a testa e 50 famiglie su 100 che non arrivano a 70 mila. Di più, queste ultime hanno un reddito medio familiare annuo di 8.019,30€ contro i quasi 200 mila euro delle 10 famiglie vip.
Tanto per schiarirvi le idee, se la torta intera fosse la ricchezza disponibile, e ogni smiley fossero 2 milioni e mezzo di famiglie, la situazione del nostro paese a tutto il 2009 sarebbe più o meno questa: [clicca qui per vedere l’immagine].
10 famiglie su 100 hanno uno spazio vitale degno di un imperatore, 40 si accontentano di un modesto giardinetto privato (sono quelle che fanno la settimana bianca) e 50 vivono accatastate le une sulle altre come e peggio delle galline in un moderno allevamento di polli, dove la luce del sole è un miraggio e se vai di corpo fai lo shampoo a quello di sotto. La storia tristemente insegna che prima o poi le 50 faccine rosse, livide di rabbia, invadono i giardini fioriti delle 10 faccine sorridenti, che smettono di sorridere.
Buon senso vorrebbe invece che, sulla torta, ciascuno avesse più o meno lo stesso spazio, ma ciò che alcuni chiamano ragionevole, altri lo chiamano comunismo. Punti di vista.
Intendiamoci: una distribuzione di risorse e di ricchezze perfettamente equa è utopica e forse contraria alla natura competitiva dell’essere umano, ma anche un sistema sociale nel quale il divario in termini di benessere sia tanto esasperato da suonare offensivo è insostenibile.
Nel loro “Study for the World Institute for Development Economics Research” [2001], Giovanni Andrea Cornia e Julius Court mettono in guardia da un egualitarismo eccessivo nella distribuzione della ricchezza, in quanto porterebbe a incentivi-trappola, speculazione, grandi costi di operazione e corruzione nel sistema di redistribuzione. Il risultato influirebbe sul potenziale di crescita del Paese allo stesso modo in cui inciderebbe un’iniquità estrema, che distruggerebbe la coesione sociale, aumentando il malcontento pubblico, alimentando il conflitto sociale e causando incertezze riguardo ai diritti di proprietà.
La politica pubblica insomma deve avere come obbiettivo un intervallo di inegualità efficiente. Come si fa allora a incentivare il merito senza creare buchi neri sociali che si accrescono indefinitamente?
In statistica, per misurare il grado di concentrazione di una risorsa si usa il coefficiente di Gini. Corrado Gini, statistico, economista e sociologo italiano morto nel 1965, mise a punto un metodo di calcolo della disuguaglianza dei redditi chiamato indice di concentrazione di Gini, che si basa sulla curva di Lorenz.
In soldoni, funziona così: sull’asse delle x metti le percentuali delle famiglie in ordine crescente. Ovvero: il 10% delle famiglie, il 20%, il 30% e così via. Sull’asse delle y metti invece, ad esempio, le percentuali di reddito che le stesse famiglie si accaparrano. Un punto sul grafico (x,y) dice che quella certa percentuale di famiglie x ha a disposizione quella certa percentuale sul reddito totale y.
Non bisogna essere laureati in matematica per capire che la perfetta equità si ottiene per tutti i punti del grafico che hanno la coordinata x uguale alla coordinata y. In parole povere, sono tutti i punti ideali che rappresentano un paese dove il 20% delle famiglie ha il 20% del reddito totale, il 30% ne ha il 30%, il 40% ne ha il 40% e così via fino al 100%. Abbiamo cioè appena disegnato una linea retta, la linea di perfetta uguaglianza. [clicca qui per vedere l’immagine]
Di contro, all’opposto della situazione ideale c’è la linea di totale inequità, ovvero quella condizione nella quale il 10% delle famiglie ha lo 0% della ricchezza totale, così come non ha nulla il 20% delle famiglie, il 30% e via discorrendo fino al 99,9%, perché esiste una unica famiglia che si accaparra tutta la ricchezza disponibile, ragion per cui quando la linea di totale inequità raggiunge il 100%, fa un balzo repentino e discontinuo al 100% della ricchezza.
Le situazioni reali, cioè quelle intermedie tra la linea di perfetta eguaglianza e la linea di totale inequità, sono quelle descritte dalla curva di Lorenz.
Ecco, l’indice di Gini misura quanto la curva di Lorenz si discosti dalla linea di perfetta eguaglianza, in rapporto alla linea di totale inequità, e si calcola dividendo l’aera racchiusa tra la curva di Lorenz e la linea di perfetta eguaglianza per l’area totale sotto alla linea di perfetta eguaglianza. Il coefficiente di Gini, insomma, è un rapporto che intuitivamente varia tra 0 (quando, in una situazione di distribuzione della ricchezza totalmente uniforme, la curva di Lorenz coincide con la linea di perfetta eguaglianza e dunque l’aera è nulla) e 1 (la curva di Lorenz coincide con la linea di totale inequità, e dunque l’area che delimita con la linea di perfetta eguaglianza e l’area totale sotto la linea retta coincidono, dunque il rapporto vale 1). Più il rapporto si avvicina allo zero, più avremo equità di distribuzione; più al contrario viaggia verso l’1, più avremo condizioni di forte disuguaglianza reddituale. [clicca qui per vedere l’immagine]
L’intervallo di inegualità efficiente, quello nel quale la ricchezza ha una distribuzione tale da consentire lo sviluppo dell’economia, è compreso tra 0,25 e 0,40. Secondo il World Factobook 2009, questa è la rappresentazione del coefficiente di Gini rispetto alla distribuzione del reddito nei vari paesi del mondo: [clicca qui per vedere l’immagine].
I paesi più virtuosi sono quelli scandinavi, mentre il Sudafrica, con un coefficiente maggiore di 0,6, appare come uno stato con un divario reddituale fortemente esasperato. A titolo di nota metodologica, per i paesi molto estesi il coefficiente di Gini può non essere preciso, quindi i valori degli Stati Uniti e della Cina sono da leggersi con cautela.
Se poi andassimo a verificare qual è la distribuzione della ricchezza a livello mondiale, scopriremmo che il 60% delle famiglie italiane ha una ricchezza netta superiore a quella del 90% delle famiglie di tutto il mondo, con una quota sulla ricchezza netta mondiale del 5,7%. Calcolando che il nostro PIL si attesta sul 3% e che rappresentiamo numericamente meno dell’1% della popolazione mondiale, il risultato è sorprendente. Del resto se volete gloriarvi dell’appartenenza a una casta di privilegiati basta che facciate un semplice test, disponibile su Global Rich List. Selezionate euro come valuta di riferimento e inserite il vostro reddito annuo. Alcuni scopriranno senza difficoltà di appartenere allo 0,98% più ricco del pianeta. Poi, certo, bisognerebbe misurare anche il potere d’acquisto del vile danaro e non dimenticare che esistono beni che non si possono depositare in banca, come la possibilità di vivere e respirare aria pulita sotto a cieli azzurri, o di passeggiare in mezzo a foreste incontaminate traforate dai raggi di un sole che illumina milioni di granellini dorati in sospensione sotto a un tetto di foglie. Per molti di quello 0,98%, le immagini appena evocate non sono altro che reminiscenze lontane di un atavico ancestrale inconscio collettivo, da rievocare collettivamente celebrando il rito della memoria su Discovery Channel o al più su Nat Geo.
Ma è a pagina 29 del documento di Banca d’Italia che troviamo un dato a dir poco sconfortante. L’indice di Gini applicato alla ricchezza netta delle famiglie italiane, calcolato per il 2008, è pari a 0,613. La ricchezza è cioè fortemente concentrata nelle mani di poche famiglie, lasciando alle altre le briciole. La situazione è ancora peggiore, ma questo era prevedibile, per quanto riguarda la concentrazione delle attività finanziarie che, attestandosi allo 0,763, testimoniano come maneggiare titoli e azioni non sia proprio alla portata di tutti, mentre le passività finanziarie, ovvero i debiti (mutui e prestiti personali) sono quasi esclusivamente a carico di pochissimi fortunati, essendo caratterizzati da un coefficiente di Gini pari a 0,907, delineando così una curva di Lorenz che accarezza molto da vicino la linea di totale inequità.
Ricchezza e debiti per due ristrette élite, insomma, le une che fanno da contraltare alle altre. [clicca qui per vedere l’immagine]
Ma per comprendere appieno di cosa stiamo parlando, forse è il caso di scoprire le carte e mostrare in maniera inequivocabile il significato della parola inequità sociale. Tenetevi forte.
Mentre la maggior parte degli italiani può ritenersi fortunata se ha uno stipendio di 1800€ al mese, visto che lo stesso documento della Banca d’Italia fotografa un rapporto ricchezza netta / reddito disponibile di 8,2 (p.27, tavola 2A) – il che per 12 milioni di famiglie significherebbe un reddito annuo di poco più di 8 mila € – ci sono membri di quelle 10 fortunate famiglie che hanno redditi personali da multinazionale.
Il signor Carlo Puri Negri, ex vicepresidente esecutivo di Pirelli Real Estate, guadagna circa 38 mila €. Al mese? No: al giorno! Il che fa qualcosa come 14 milioni di euro all’anno. Claudio De Conto, che di Pirelli era solo direttore generale, doveva accontentarsi di 7 milioni e 200 mila euro all’anno. Il tronchetto della felicità, come lo chiama Grillo, al secolo Marco Tronchetti Provera, guadagna circa 15 mila euro al giorno, caffè più caffè meno: 5.600.000 euro all’anno. Luca Cordero di Montezemolo si fa 5.177.000 euro l’anno, Sergio Marchionne 4.782.000, più o meno come l’ad di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini. Alessandro Profumo (Unicredit) e Paolo Scaroni (Eni) viaggiano sui 4 milioni e rotti a testa, senza contare stock option e cumuli di cariche.
Per par condicio, due idoli del calcio come Eto’o e Ronaldino non si allenano se ogni giorno non ricevono rispettivamente 37.410 € e 71.942 €. Parliamo di 780 mila euro al mese per il primo e di 1 milione e mezzo di euro al mese per Ronaldino (9 e 18 milioni di euro all’anno). Con questi ingaggi, si capisce perché possano permettersi di fare un anno bene e altri tre a cazzeggiare.
Steven Spielberg, invece, guadagna 287.770 € al giorno! Ovvero 6 milioni al mese, 72 all’anno. George Lucas fa meglio: 489 mila euro al giorno (10 milioni al mese). Tom Cruise vivacchia con 16 milioni all’anno. Johnny Depp fa lo scemo per 216 mila euro al giorno, ovvero 4 milioni e mezzo al mese (53 all’anno). Adam Sandler fa l’innamorato impacciato per la modica cifra di 115 mila euro al giorno, Roland Emmerich grida ciak per 50 milioni di euro all’anno e Ben Stiller si esibisce in lineamenti ed espressioni intelligenti per non meno di 105 mila euro al giorno (38 milioni all’anno).
Ma c’è anche chi, come un certo Carlos Slim (amministratore delegato di Telmex, di Telcel e di America Movil) vede il proprio conto in banca gonfiarsi al ritmo di 53 milioni 237 mila e 410 euro al giorno, poco più di un miliardo di euro al mese, che fanno 13 miliardi all’anno. Alla quarta settimana, lo si può vedere rubare le briciole ai piccioni in piazza San Marco. [fonte: il tuo salario]
Intanto, il debito di quelle famiglie italiane che un coefficiente di Gini pari a 0,907 condanna al rimborso perpetuo di rate inestinguibili sale costantemente. Dal 1995 al 2009 è passato da 255 a oltre 860 miliardi di euro.
Quanto tempo passerà, prima che i 31 milioni di italiani ammassati nella fetta rossa della torta decidano che è venuto il momento di dare una risistematina alla spartizione del benessere?