Nove mesi e mezzo dopo lo scoop del Fatto, l’indagine della Procura di Trani su Berlusconi, Innocenzi e Minzolini che doveva terremotare i palazzi della politica si è arenata a Roma. Nei giorni scorsi è stata presentata la richiesta di archiviazione per il direttore del Tg1, iscritto nel registro degli indagati dal pm di Trani Michele Ruggiero perché dopo avere testimoniato davanti al pm sull’inchiesta per usura relativa alle carte di credito American Express revolving, aveva spifferato subito al portavoce del Presidente del Consiglio, Paolo Bonaiuti, il contenuto delle domande dei pm. L’archiviazione per Minzolini potrebbe essere solo l’antipasto rispetto a quello che la Procura capitolina sta preparando per Berlusconi, indagato per concussione e minacce a corpo dello Stato per le pressioni sul commissario dell’Agcom Giancarlo Innocenzi per chiudere Annozero.
Che la Procura di Roma non sia animata da una grande vis accusatoria in queste vicende lo si intuisce anche dalle motivazioni della richiesta di archiviazione per Minzolini. Secondo i pm romani il direttore del Tg1 nella telefonata a Bonaiuti “riferiva di aver detto di non sapere nulla”. Ergo, sempre secondo i pm romani la telefonata in questione “non costituisce rivelazione di alcun segreto in quanto affinché la rivelazione stessa possa concretizzarsi occorre che quanto divulgato o rilevato contenga elementi informativi”. Il Fatto pubblica il testo dell’intercettazione incriminata perché i lettori giudichino da soli.
Quel giorno il direttore del Tg1 ha detto tre cose: 1) il pm di Trani lo aveva sentito nell’ambito di un’indagine contro l’American Express per usura; 2) Qualcuno conosciuto da Minzolini aveva millantato di potere intervenire “per evitare che questa cosa qui danneggiasse l’immagine dell’American Express, sia su Mediaset sia sulla Rai”; 3) Il soggetto in questione “prima era politico e ora è un’altra cosa”. La prima circostanza era stata già pubblicata ma le altre due erano segrete e Minzolini le stava raccontando a un soggetto particolarmente sensibile all’argomento: il portavoce di Berlusconi. Il direttore del Tg1 non fa il nome ma allude chiaramente a Innocenzi, che era intercettato dal pm Ruggiero proprio per le sue telefonate con il capo di Bonaiuti, cioé Berlusconi. Bonaiuti, una volta appreso il nome, avrebbe potuto avvertire Innocenzi e Berlusconi.
Un minuto dopo il premier e il commissario dell’Agcom avrebbero smesso di parlare al telefono. Altro che “assenza di contenuti informativi, come scrivono i pm di Roma. I contenuti c’erano eccome e potevano mettere a rischio l’inchiesta come dimostra un’altra intercettazione precedente del 6 dicembre nella quale B. (evidentemente informato da qualche uccellino impreciso) mette in guardia Innocenzi: “Stai attento a parlare al telefono col Presidente (Calabrò dell’Agcom, ndr) perché voci (…) dicono che ha il telefono sotto controllo… “. La generosa richiesta di archiviazione per Minzolini, per quanto riguardante un fatto laterale, non fa presagire nulla di buono sull’esito del filone principale. Fortunatamente, grazie al Fatto che le ha pubblicate a partire dal marzo del 2010, tutti conoscono il contenuto delle telefonate di Silvio Berlusconi nei confronti del commissario dell’Agcom Innocenzi, un signore che era pagato 400 mila euro all’anno per garantire la corretta informazione pubblica e che invece era trattato come un maggiordomo del telepadrone.
La Procura di Roma e il Tribunale dei ministri hanno avuto nove mesi e mezzo per leggere quelle telefonate chiarissime e per trarre le dovute conclusioni. Il collegio dei giudici competenti a dire l’ultima parola sui reati ministeriali del premier ha sentito in estate il direttore generale della Rai Masi, il presidente dell’Agcom e una mezza dozzina di testimoni. Poi a ottobre ha rispedito le carte in Procura perché, alla luce degli elementi raccolti, i pm Alberto Caperna, Caterina Caputo e Roberto Felici, formulassero le loro richieste, non vincolanti. La Procura, con una mossa che è sembrata uno stratagemma per prendere altro tempo, si è lamentata perché le intercettazioni non erano state trascritte da un perito ma solo dalla polizia giudiziaria. Ora sembra che il problema sia stato superato.
Con o senza perizia, quelle telefonate sono nel fascicolo e rappresentano per la Procura un imbarazzante “morto in casa” che invoca giustizia. Di fronte a quelle frasi di B. che intima a Innocenzi di “aprire” il fuoco contro le trasmissioni come Annozero, che gli chiede di “concertare” le mosse per permettere poi al fido Masi di dire “chiudiamo tutto”, sarà difficile fare finta di nulla. Anche perché la Procura rischia una brutta figura se il Tribunale dei ministri poi decidesse di disattendere le sue indicazioni. E sembra che i giudici estratti a sorteggio per comporre il collegio dei reati ministeriali non siano convinti affatto di un’archiviazione.
Comunque finisca, qualcuno rischia il processo per i gravi fatti di Trani. Non è Innocenzi, perché la Procura di Trani, giustamente, sta aspettando per decidere sul suo presunto favoreggiamento a Berlusconi che si risolva il procedimento principale al premier a Roma. No, l’unico colpevole per ora è il giornalista di Repubblica Francesco Viviano. La Procura di Trani aveva chiesto addirittura il suo arresto perché avrebbe secondo l’accusa, “rubato con destrezza” il fascicolo dalla stanza del giudice per fotocopiarlo e scriverne sul suo giornale. Un Gip sensato ha rigettato la richiesta. La Procura però insiste e vuole processare Viviano per un’accusa che prevede una pena da un minimo di un anno a un massimo di sei anni. Ovviamente le indagini sono già chiuse. La giustizia è lenta solo con i potenti non con i giornalisti.
di Marco Lillo e Antonio Massari
da Il fatto quotidiano del 30 dicembre 2010