Un criptoregime ha bisogno del consenso per sopravvivere. Un consenso specifico, che si costruisce negli anni, plasmando in maniera lenta ma sistematica quel pubblico che, prima o poi, restituirà, sotto forma di sostegno elettorale, le parole chiave che sono state dispensate con pazienza e metodo.

Questa strategia la chiameremo consensificazione (*).

Consensificazione
[con-sèn-si-fi-ca-zió-ne]
s.f. (pl. -ni)
POL Creazione e/o consolidamento del consenso popolare attraverso metodi e mezzi di comunicazione di massa. Il processo prevede l’uso strumentale, palese o subliminale, di slogan, icone e personaggi del mondo politico, sociale, dello spettacolo, intellettuali, esponenti della società civile e dei media. Affonda le sue radici nelle teorie di Goebbels; trasforma la comunicazione da processo a sostanza politica.
Si veda anche “consensificio” (s.m., la fabbrica del consenso).

La premessa e la parola nuova sono necessarie per proseguire il discorso. A chi guardasse la situazione politica dell’Italia di oggi senza aver studiato – perché di questo si tratta – determinati meccanismi di costruzione del consenso, sembrerà infatti tutto appartenente alla sfera del surreale. Le generazioni più giovani, in particolare, che non possono avere una memoria storica per mere questioni anagrafiche e perché un certo tipo di storia non si studia, brancoleranno nel buio. Si troveranno strattonati fra due fazioni, due curve contrapposte di tifosi, con la politica ridotta a brandelli in termini di contenuti, sempre più forte in termini di proclami. Non avranno elementi per capire.

Ecco perché è importante ricordare certi momenti, analizzarli, introiettarli, affinché a quante più persone possibile sia evidente il funzionamento impeccabile del consensificio, una macchina che a volte sembra perdere colpi, ma che, a lungo termine, ha appiattito il dibattito politico e lo ha reso facile preda di chi parla più forte, di chi ripete più a lungo i medesimi concetti, di chi riesce a far passare in maniera pervasiva determinati slogan.

E’ nelle questioni più insignificanti che il procedimento raggiunge vette inaspettate. Osserviamo tre video tratti da altrettante trasmissioni televisive Fininvest: sono stati riproposti alcune volte da Blob (uno di essi, il primo, si è visto nella puntata di capodanno) e se ne trova, fortunatamente, traccia in rete (i numeri delle visualizzazioni dimostrano come siano stati visti poche volte, rispetto all’importanza che episodi del genere, sommati e accumulati negli anni come i rifiuti che a lungo andare generano montagne e poi emergenze), possano rivestire, nella storia di un Paese.

Ecco Raimondo Vianello che si rende protagonista di un dialogo con Antonella Elia a Pressing, una trasmissione in cui si parla di calcio:

[youtube width=”480″ height=”385″]http://www.youtube.com/watch?v=YSM_KQfXgiM&playnext=1&list=PL53BAEB6598776A0A&index=86[/youtube]
La Elia fa la parte della svampita e, sotto elezioni, dopo la discesa in campo del Cavaliere, chiede a Raimondo per chi voterà. Quel che segue, fra il conduttore che si imbarazza e si schermisce – Vianello dirà, in seguito, che non era un momento previsto, quello, e che accadde tutto per caso – è un vero e proprio spot elettorale per Berlusconi e Forza Italia. Anzi, è qualcosa di più di uno spot, giacché Vianello ha una certa immagine, per i suoi spettatori. Così, il gioco è fatto, quando afferma: “Io ho la fortuna di conoscere, finalmente, il candidato per cui voterò, perché ci ho lavorato per diversi anni. […] L’ex presidente. Della Fininvest”.

Bisognerebbe non esagerare aprendo anche una parentesi sull’immagine della donna offerta in quella che venne definita una “gag” – non è una gag. Le parole sono importanti -, ma qualche riga in merito è inevitabile. La parte finale del dialogo, infatti, rasenta il capolavoro. Sguardo vacuo, la Elia dice, corroborando il ruolo da opinion leader per gente semplice di Vianello: “Allora voto anch’io. Perché io mi fido ciecamente di lei. Allora la seguo. Anche perché io non ho idee politiche”. Raimondo chiosa: “Lei non ha un’idea”. Perfetto. Target del programma: appassionati di calcio. E’ il 1994. Siamo in piena campagna elettorale.

Nel secondo video c’è Mike Bongiorno che fa a sua volta il panegirico di Berlusconi a La ruota della fortuna:

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Non ha bisogno di compagnia o di domande che lo portino a dire quel che pensa, Bongiorno. Lo fa sua sponte, in quaranta secondi che terminano con uno dei cavalli di battaglia berlusconiano del futuro, il “Governo del fare”: “Berlusconi, quello che promette, fa”, dice Mike. E se lo dice lui, che lo conosce così bene. Target del programma: casalinghe. E’ il 1994 anche in quest’occasione.

Ma la perfezione si raggiunge, probabilmente, nel terzo video, dove vengono tirate in ballo persino categorie religiose. In embrione, c’era già il partito dell’amore. Ambra Angiolini ha il suo periodo di gloria a Non è la Rai:

[youtube width=”480″ height=”385″]http://www.youtube.com/watch?v=i9aG9fdx72s&list=PL53BAEB6598776A0A&index=88&playnext=2[/youtube]

La futura signora Renga – teleguidata dalla cabina di regia di Boncompagni, con tanto di auricolare, altrimenti detto phonak – ricorda più volte ai giovani e ormonosi spettatori del programma lolitesco che “il Padreterno tifa per Berlusconi, Forza Italia e tutto il coro” e invece “Satana (come Stalin) tifa per Occhetto”. Target del programma: giovani. Inutile a dirsi: siamo sempre campagna elettorale, primavera ’94. Silvio Berlusconi è appena sceso in campo, l’Italia è in stato di shock post-tangentopoli e attraversa un periodo di transizione, che in molti identificano come passaggio fra Prima e Seconda Repubblica – un passaggio meramente nominale e giornalistico, tutto sommato. Ed è in questo stato di shock che la fabbrica del consenso può operare meglio.

Questi brevi video sono tre esempi perfetti di consensificazione attraverso l’uso sistematico di un mezzo pervasivo come la televisione, per giunta per bocca di tre icone del tubo catodico. E’ un uso che va ben oltre gli episodi specifici e che si mantiene pressoché costante dal 1994, in maniera più o meno spudorata, più o meno subdola. Il che spiega perché non ci si dovrebbe meravigliare quando si scopre che nonostante tutto – ma tutto cosa? Quanti sanno in maniera informata degli scandali di B.? Quanti, oggi, ne hanno una visione d’insieme? Quanti, allora, vedevano Pressing, La ruota della fortuna, Non è la Rai? -, il premier mantiene il favore di una buona fetta di italiani.

Potrebbero sembrare discorsi stantii e poco utili. Si potrebbe archiviare il tutto come inezie senza importanza. Ma non è così, e non vale certo solamente per Berlusconi: basta dare un’occhiata a spot e tecniche utilizzate, per esempio, dal Forum per il nucleare – tecniche già ottimamente spiegate da Bruno Ballardini sul suo blog – per capire che il consensificio opera sempre con meccanismi analoghi, raffinando le tecniche in maniera progressiva per dedicarsi anche a idee da veicolare e non solo a personaggi da promuovere.

Ecco perché conoscere i meccanismi, ripeterli, diffonderli quanto più possibile affinché ciascuno possa costruirsi gli anticorpi contro la consensificazione – di qualsivoglia colore politico – diventa fondamentale per costruire pensiero critico.

Certo, c’è il fatto che un criptoregime ha bisogno anche del dissenso, per la logica narrativa della costruzione dell’antieroe, una volta che l’immagine dell’eroe è stata ben plasmata.
E c’è anche la passeggiata a braccetto che, a volte, riunisce sistema e antisistema. Nei già citati think tank, per esempio.

Ma di questo parleremo un’altra volta, se vorrete. Ci vuole tempo.


(*) Grazie a Caterina Tonon per la creazione del termine (a partire da una definizione molto meno compiuta di quella che propongo qui).

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