Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano ed il suo collega Renato Brunetta continuano, ormai da mesi, a raccontare dei mirabolanti passi in avanti compiuti nell’informatizzazione della giustizia ed a prometterne di ancora più lunghi nei mesi a venire.
L’ultima favola i due l’hanno raccontata il 6 dicembre scorso, presentando a Palazzo Vidoni, il progetto “Vivifacile Giustizia” per avvocati e cittadini, un servizio, attraverso il quale, già nei prossimi giorni gli avvocati dovrebbero ricevere gratuitamente sul loro terminale o sul telefono cellulare gli avvisi relativi alla decisione del giudice di loro interesse, decisione che, in ogni caso, dovranno poi provvedere a ritirare in Tribunale o che dovrà loro essere notificata a mezzo di ufficiale giudiziario.
Aspettare per credere.
Il ministro della Giustizia, d’altra parte, è, da tempo un convinto sostenitore dell’esigenza di informatizzare la Giustizia.
A maggio dello scorso anno, infatti, Angelino Alfano, aveva voluto presentare personalmente, attraverso un bel video pubblicato su YouTube e sul sito del suo ministero, il servizio “Giudice di pace online”, un servizio attraverso il quale, a sentir lui, cittadini ed avvocati avrebbero, finalmente, potuto ottenere – almeno dinanzi ai giudici di pace – giustizia, via internet, senza più bisogno di file, attese e confusioni.
Una bella idea: peccato solo che il funzionamento del servizio preveda che cittadini ed avvocati dopo aver compilato online un modulo per il ricorso al Giudice di Pace debbano stamparlo, firmarlo e spedirlo all’ufficio giudiziario competente a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, come puntualmente spiegato sullo stesso sito del ministero della Giustizia.
A Roma, nel 2010, per introdurre un giudizio civile l’avvocato scrive sul suo PC l’atto introduttivo, lo stampa, lo firma e lo fotocopia in tante copie quanti sono i soggetti che intende coinvolgere nel procedimento, si reca quindi presso l’ufficio notifiche e, alla fine di una mattinata di fila, consegna l’atto ad un ufficiale giudiziario che, a sua volta, lo firma e lo timbra dopo di che, a seconda dei casi, lo consegna a mani al destinatario o lo chiude in una busta verde ed affida al servizio postale perché lo consegni a mezzo raccomandata.
A distanza di giorni, quindi, l’avvocato torna presso l’ufficio notifiche dove ritira l’originale – rigorosamente cartaceo – dell’atto notificato con l’attestazione, firmata dall’ufficiale giudiziario, attestante l’avvenuta notifica o, invece, l’affidamento alle poste dell’atto medesimo.
Tocca quindi all’avvocato, scaricare da internet il modulo per l’iscrizione della causa a ruolo, compilarlo, stamparlo e firmarlo e tocca, egualmente, all’avvocato predisporre il proprio fascicolo – rigorosamente cartaceo – e, quindi, recarsi presso la cancelleria del Tribunale per provvedere all’iscrizione a ruolo della causa, affrontando ulteriori interminabili file e confrontandosi con pile voluminose di atti e scartoffie.
Naturalmente è solo l’inizio perché, da questo momento e sino ad arrivare alla fine del giudizio, sono numerosissimi gli atti che un avvocato deve scrivere sul suo pc, stampare, firmare e depositare in Tribunale.
Tra eterne sperimentazioni [n.d.r. quella del processo civile telematico è iniziata da oltre un decennio], favole raccontate con grande sagacia e proclami solenni la macchina della Giustizia, oggi – tranne rare eccezioni – funziona ancora così.
Ci vuole coraggio, in tale contesto, a parlare di informatizzazione della giustizia.
A tutto questo, tuttavia, siamo ormai da tempo abituati se non, addirittura rassegnati e, occorre dirlo con grande chiarezza, quello dell’informatizzazione della giustizia è un obiettivo nel quale hanno fallito – ammesso che abbiano mai davvero provato a raggiungerlo – tutti i governi degli ultimi anni, quale che fosse il colore politico del gagliardetto di Palazzo Chigi.
Sembra, tuttavia, che questo Governo dei miracoli abbia deciso di superare sé stesso ed ogni altro precedente Governo facendo ancora di più: l’intenzione, parrebbe, infatti, quella di informatizzare la Giustizia senza software, PC e denaro.
E’ questa la conclusione che si trae nel registrare l’allarme lanciato la scorsa settimana dall’Associazione Nazionale Magistrati e dal procuratore della Repubblica di Roma, Giovanni Ferrara e rilanciato, nelle ultime ore, da Giuseppe Corasaniti, Magistrato in forza alla Procura della Repubblica di Roma che, da anni, si occupa di informatica e giustizia.
Il Governo ha, infatti, tagliato del 50% le risorse necessarie a garantire la manutenzione ai sistemi informatici degli uffici giudiziari, ponendo così a rischio il funzionamento di servizi telematici essenziali all’amministrazione della giustizia.
D’accordo continuare a promettere di informatizzare la giustizia senza avere le idee chiare su cosa serva per farlo ma, pretendere addirittura di riuscire nell’impresa senza soldi, PC e software sembra davvero un’impresa degna di cantastorie di altri tempi.
Non è, d’altra parte, un mistero che questo Governo non ami i giudici e, dunque, non ci si può sorprendere del fatto che, in un’epoca, peraltro, di tagli diffusi, la Giustizia digitale, venga lasciata senza PC.
Povera Giustizia destinata a restare lenta ed analogica in un universo digitale.