Arriva da Parigi, lo stiamo leggendo in tanti, piccolissimo libro: “Indignatevi”. L’autore si chiama Stefan Hessel, sta per compiere 94 anni. Ha accompagnato la storia della Francia con l’anticonformismo di un grande borghese, ebreo nato a Berlino e diventato parigino appena spunta Hitler. 530 mila copie vendute in poche settimane. Sta per uscire in spagnolo ed inglese, chissà se lo tradurranno.

Hessel ha attraversato la lunga vita senza smettere di indignarsi. Contro il nazismo, contro il colonialismo crudele dei francesi in Algeria, contro gli affari dei politici, contro Israele che brucia Gaza. È uscito vivo da Buchenwald ed è scappato dal treno che lo accompagnava in un altro campo della morte. Nel 1946 diventa il primo segretario delle Nazioni Unite per la difesa dei diritti umani e 60 anni dopo va a difendere i sans papier che occupano le chiese per protestare contro la disumanità della destra di Chirac e Sarkozy, allora ministro degli Interni dalla mano dura con stranieri senza casa e al lavoro nero. Mendes France e Mitterand l’hanno voluto per consigliere.

Allievo “spirituale” di Walter Benjamin e compagno di caffè di Sartre, insomma, leggenda che comincia in una famiglia di banchieri: “Jules e Jim” di Truffaut si ispira all’autobiografia del padre di Hessel. Racconta del triangolo che unisce due amici nell’adorazione della stessa ragazza diventata madre del sociologo quando Jim si arrende e Jules (Franz Essel, appunto ) può sposare Elena “più bella di Jeanne Moreau” che le dà vita sullo schermo.

Hessel invita i francesi ad indignarsi contro razzismo, corruzione, furti di stato, intrighi delle polizie segrete, spese militari che rubano la vita alle persone senza nome e minacciano, soprattutto, il futuro dei ragazzi. Messaggio che si allarga all’Europa avvolta nella rete dei desideri inutili: pianificano un’obbedienza plastificata per le nuove generazioni, da considerare “clienti” non persone. Nel lettore italiano l’amarezza diventa disperazione. Perché Hessel fa riferimento ad architetture sociali alle quali i francesi possono aggrappare le speranze; strutture consolidate dalla tradizione di una borghesia non profumi e balocchi e con certezze culturali e burocratiche che aiutano la resistenza al ridicolo, al grottesco, al malcostume, al servilismo, alle ingiustizie e ad una corruzione sia pure lontana dal modello Italia dove fanno scalpore i ragazzi in marcia nelle piazze contro la malafede dei baroni che spargono incenso sulla riforma universitaria con la furbizia di far fuori le baronie   concorrenti.

“Mai arrendersi”, consiglia Hessel. Discuterne in casa coi figli, sui treni pendolari, nei posti di lavoro e di studio. Mai accettare le banalità di populismo e retorica. Mai prendere sul serio le tv e i giornali che gonfiano gli scandali per nascondere le truffe dei padroni. Mai fidarsi dei comunicatori maggiordomi. Rovesciate pacificamente le solidarietà più o meno segrete – insiste – per dare continuità alle critiche che il voto raccoglie nell’indignazione. Belle parole di un secolo fa ma utopia per l’Italia delle mafie e della P2, dei Verdini, dei Bertolaso e delle figuranti alla Santanché. Se dopo Sarkozy la Francia può affidarsi ad una cultura civile non disgregata dai potentissimi pupi Nord-Sud, mafie e maffiette, gli italiani dei grandi fratelli quali speranze hanno? Il berlusconismo degli amici non è che l’evoluzione mercantile dell’andreottismo e quando Napolitano lascia, magari al Quirinale va Gianni Letta, Gentiluomo di Sua Santità.

mchierici2@libero.it

Il Fatto Quotidiano, 4 gennaio 2010

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