Il fatto. Sergio Marchionne, amministratore delegato e proprietario unico della Fiat, ha soldi, molti soldi. Li fa vedere (indica l’enorme cifra) e annuncia: “Forse li investo qui, forse no. Dipende”. Dipende dal comportamento degli operai. Obbedienza assoluta, senza discussioni, e senza pretese di invocare i vecchi contratti (già stracciati) o di discussioni e interpretazioni future. E’ così e basta. La situazione è strana perché Marchionne sta annunciando senza finzioni che – se non gli danno subito e completamente ragione – porterà i capitali all’estero. Non capitali venuti dalle isole Cayman. Capitali italiani fatti, insieme, da operai e manager italiani di una fabbrica italiana. La più grande.
S’intende che Marchionne lo può fare per due ragioni. In Italia non c’è governo. In Italia non c’è politica. Se ci fosse un governo, l’ad Fiat dovrebbe presentarsi e spiegare. Prima d’ora (anche a causa di interi anni di cassa integrazione) nessuno sapeva che a Mirafiori non si può produrre causa rissosità e assenteismo. A Mirafiori? Manca qualsiasi evidenza, storia o testimonianza. Eppure Torino è una città attenta alle sue fabbriche. D’altra parte la politica è troppo debole per reggere il peso dell’improvvisa botta. Si sottomette quasi subito. In due modi. Uno, più realistico, suggerisce: dite “sì” perché non c’è scampo. L’altro, più euforico, diventa subito celebrazione del mondo nuovo che finalmente si fa avanti. La parola d’ordine, d’ora in poi, non può essere “difendere” ma “cambiare”.
Stretta nell’angolo e malvista resta la parte sindacale e culturale che ancora “difende” e trova incostituzionale “cambiare”. Gli storici troveranno tracce di ideologia. Ricordate? Destra e sinistra. Esamineranno, fra vecchie carte, la testimonianza di Pietro Ichino, senatore Pd: “il modello della conflittualità permanente ha fatto il suo tempo. In questo nostro Paese drammaticamente chiuso ai capitali stranieri, vogliamo cacciare anche Marchionne?” (La Repubblica, 5 gennaio). E potranno contrapporgli ciò che ha lasciato detto il ministro per lo sviluppo economico Paolo Romani. “Domanda: c’è stata una sola multinazionale che le ha detto: non investo in Italia perché c’è la Fiom? Risposta: no, questo non me l’ha mai detto nessuno. Domanda: le piace Marchionne? Risposta: Mi auguro che le sue origini abruzzesi lo aiutino ad amare un po’ di più il suo Paese” (La Repubblica, 5 gennaio). Il problema degli storici sarà l’interpretazione. Qual è la voce di destra?
Il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2010