Politica

Zaia, leghista in salsa cinese

Dimmi dove mangi e ti dirò chi sei. Il motto è inventato ma si attaglia bene al presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. L’astro nascente della Lega, già ministro dell’Agricoltura, si è reso famoso per l’attaccamento al suo Veneto, e in particolare ai prodotti della sua terra, quelli genuini, tanto da sposare una campagna tipica dei “no-global” come quella contro gli Ogm. Un veneto sincero, ruspante – anche se nessuno lo ha visto con una pala in mano a spalare un po’ di terra durante l’alluvione dei mesi scorsi – uno che alla sua regione ci tiene. E infatti ha anche scritto un libro “Adottare la terra” ben reclamizzato sul suo sito in cui nell’introduzione si può leggere: «Nel Pianeta delle scimmie, uno dei film che all’epoca erano piuttosto di moda, il mitico Charlton Heston ingaggiava una battaglia mortale con il regime tecnologico che aveva preso il sopravvento sulla Terra. I nuovi padroni avevano un obiettivo: far dimenticare agli uomini i gusti, gli odori, i piaceri che costituiscono la nostra intima essenza (…) Non un film indimenticabile. Ma esemplare per dare spessore a un certo modo di intendere il rapporto con i valori che contano. Tra questi, la terra». E poi: «Il cuore mi dice che staremmo meglio se ricominciassimo dalla terra, se ritornassimo a ‘adottarla’ come via d’uscita per non morire nel nulla dei nostri centri commerciali e per uscire dal ricatto della fame. Un po’ come in quel film con Charlton Heston, capace, finalmente, di esaltarsi per il gesto eversivo di un sugo fatto con il pomodoro fresco, magari raccolto nell’orto di casa. Una piccola grande eversione che potrebbe innescare, forse, mutamenti epocali». Zaia si spinge fino a sognare che ognuno possa avere il proprio orto da coltivare, se la prende con i cibi che fanno migliaia di chilometri per essere consumati e fa un elogio della “lattughina fresca”.

Bene, ora tutti noi immaginiamo che all’ora di pranzo il buon Zaia, con il grembiulino intorno alla vita, se ne stia nella sua cucina intento a farsi il sugo di pomodorini raccolti nell’orto di casa sua. Nulla di male, sia chiaro, anzi sarebbe un punto a suo favore. Certo, i gestori dei ristoranti veneti sarebbero privati di un buon ospite, illustre e soprattutto dotato di una bella passione per la cucina.

Infatti i ristoratori della sua regione sono molto arrabbiati ma per un’altra ragione. Invece di coltivare pomodori e cucinarli con il baccalà, il presidente Zaia frequenta un po’ troppo spesso, secondo loro, il ristorante cinese. E non uno di particolare qualità, ma un “low cost” dove si sarebbe recato anche per la cena di Capodanno. «La scelta di Zaia ci ha molto rammaricato, sorpreso e disgustato – spiegano i ristoratori di Padova – Piuttosto che una saporita cucina prettamente natalizia e di antica tradizione familiare (cappone, tortellini, cotechino, panettone) preferisce i ravioli fritti, i piccanti gamberi e lo zenzero caramellato. Con quale soddisfazione il governatore si batte in difesa dei saporiti prodotti veneti?».

E’ chiaro che i ristoratori padovani riescono a superare a destra le dichiarazioni di Zaia, dando prova di un comprensibile localismo culinario. Lo sdegno con cui vengono descritti ravioli fritti e zenzero caramellato, infatti, non ci piace. Ma Zaia dovrebbe ricordarsi di mantenere un più stretto collegamento tra le parole e i suoi atti. Anzi, visto che predilige il “cinese” potrebbe finalmente smetterla con quella propaganda tipica della Lega che spara a zero contro gli stranieri, in particolare con i prodotti della Cina che stanno mettendo al tappeto la piccola impresa nordestina. Come si vede, le cose sono un po’ più complicate, la mescolanza di culture, di sapori e di tradizioni è orizzontale, non ha limiti precisi e mette a nudo la propaganda.

A Zaia piace apparire in tv e spesso; lo abbiamo visto in diversi programmi, sempre circondato da contadini veneti. Ora, lo confessiamo, ci piacerebbe vederlo in compagnia di ristoratori cinesi. Lui finalmente potrebbe sfogarsi con gli involtini-primavera e noi avremmo un po’ di propaganda razzista in meno.