Anche l’Italia ha importato una limitata quantità di uova alla diossina. A dirlo è stato il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, che minimizza: “Grazie all’etichettatura è possibile rintracciarle guardando il marchio di produzione e provenienza”. Un primo allarme era stato lanciato il 5 gennaio, ma l’emergenza è esplosa solo ieri, quando si è appreso che non solo in Germania, ma anche in Olanda e in Gran Bretagna sarebbero state messe in distribuzione uova e mangimi contaminati dalla diossina.

Il problema è il livello troppo elevato della sostanza – notoriamente cancerogena e persistente nell’ambiente – contenuto nei mangimi destinati a maiali e polli: 77 volte più della soglia consentita, secondo l’ultimo test. La diossina sarebbe arrivata da 3000 tonnellate di grassi alimentari destinati al bestiame, attraverso 25 diversi fornitori. All’origine della contaminazione, lo stabilimento di produzione Hales e Jentzsch, in Sleswig Holstein, Land (ovvero “stato federale”) della Germania del nord. L’emergenza ha già fatto chiudere in via cautelativa 4700 allevamenti sul suolo tedesco, la maggior parte dei quali in Bassa Sassonia.

Le autorità al momento rassicurano, affermando che non ci sono rischi per l’uomo. Lo dice da Bruxelles il Commissario alla Salute, il maltese John Dalli, attraverso il suo portavoce, che sostiene come le quantità di diossina al momento riscontrate non siano pericolose per la salute umana. E tuttavia, ammette, i livelli tossici sono tre o quattro volte superiori a quelli fissati, che dovrebbero fermarsi a 0,75 nanogrammi di diossina per un chilo di grassi alimentari.

Non ha però ancora avuto modo di rispondere ai risultati di un secondo test. Dalla nuova rilevazione appare come in un lotto di uova analizzato sia stato riscontrato un livello pari a 77 volte quello consentito dai regolamenti dell’Unione europea a tutela della salute. Non troppo lontano, dunque, dalle 100 volte dello scandalo diossina del 1999 in Belgio, che Bruxelles prendeva come termine di paragone per tentare di sdrammatizzare il caso degli allevamenti tedeschi.

Ma come è stata possibile la contaminazione? Sotto accusa è la già citata Hales e Jentzsch, la ditta produttrice di mangimi per bestiame. Nel processo di trasformazione, venivano inseriti all’interno dei grassi alimentari anche residui di biodiesel, combustibile evidentemente tossico se entra in contatto con la catena di produzione alimentare. Non è chiaro se la contaminazione sia avvenuta accidentalmente o volontariamente, con l’intento di aumentare i profitti. In ogni caso, resta il silenzio dell’azienda produttrice.

Si pensi soltanto che, se i sospetti di irregolarità si avevano già da marzo 2010, i risultati dei test sono stati resi noti solo il 27 dicembre scorso. E, alla luce dei nuovi dati di oggi, probabilmente non si è detta ancora tutta la verità su un episodio che potrebbe allargarsi ancora.

Ora le autorità cercano di rassicurare i consumatori, ma la situazione è in continua evoluzione: i 1000 allevamenti inizialmente chiusi in Germania sono più che quadruplicati in soli due giorni, l’allerta confinata ad un Paese si è estesa ad altri due. Il particolare, la Gran Bretagna è ora sotto i riflettori. Attraverso un passaggio in Olanda, sono arrivate anche oltremanica le uova alla diossina. Per giunta in forma liquida, ovvero pronte ad essere inserite in preparati come la maionese o i dolci confezionati.

Per questo Barbara Kamradt, attivista di Greenpeace ed esperta di questioni alimentari, ha denunciato alla Bbc i ritardi con cui le autorità hanno inizialmente indicato il pericolo solo nelle uova: “Ora invece stiamo parlando della produzione suina, del latte e penso che non siamo ancora alla fine dello scandalo. Sta solo crescendo”.

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