Una palude nera e tossica si nasconde da 35 anni nella campagna di Zanica, piccolo comune alle porte di Bergamo. Dentro un’ex cava, tra gli anni 80 e 90 decine di autobotti hanno scaricato migliaia di ettolitri di scarti di raffineria e oli esausti provenienti dagli impianti petrolchimici milanesi. Un modo spiccio e soprattutto economico di smaltire rifiuti tossici, che ha originato un vero e proprio lago dei veleni a poche centinaia di metri da villette e aziende. Nascosta da un filare di alberi, la pozza è diventata ormai parte del paesaggio. In superficie sembra solida, quasi fosse un piazzale d’asfalto che si estende su 1150 mq. Ma basta lanciare un sasso per vederlo affondare lentamente, inghiottito da 16 mila metri cubi di melme acide, per una profondità di circa nove metri. Uno studio effettuato dalla società Eurogeo per conto del Comune nel 2001 riscontrò “una concentrazione molto elevata” di idrocarburi policiclici aromatici cancerogeni e di oli minerali. Ma dentro ci sono anche tracce di metalli pesanti: piombo, nichel, cromo e cadmio.
Una bomba ecologica che già dieci anni fa preoccupava per due motivi: i rischi di contaminazione per la falda sottostante e le esalazioni nell’ambiente circostante. “Si ritiene necessario un monitoraggio dell’aria, in quanto le melme acide, soprattutto nei periodi più caldi dell’anno, emettono quantità notevoli di anidride solforosa” si legge nella relazione. E si suggeriva l’impiego di una centralina mobile di rilevamento, oltre alla successiva “messa in sicurezza permanente del sito contaminato” tramite una “opportuna copertura di cemento”.
Siamo nel 2011 e la pozza nera è rimasta dov’era, a cielo aperto: nessuno finora ha mosso un dito per seppellirla né per svuotarla. Eppure il Comune ne scoprì l’esistenza già nei primi anni ’80, mentre la Provincia effettuò uno studio conoscitivo nel 1987, che descrisse la discarica abusiva come un lago “color della pece”. Uno scenario dantesco in miniatura, ma vero, che si è conservato grazie a scaricabarile e inerzie burocratiche. La Regione Lombardia inserì l’ex cava nei siti contaminati da bonificare nel 2002, ma per eseguire i lavori servono soldi, tanti soldi. Secondo il sindaco di Zanica Mario Aceti almeno tre milioni di euro. Il caso finì sui giornali locali tre anni fa: sotto la pressione mediatica la Regione sborsò 181 mila euro per effettuare un nuovo studio di caratterizzazione, in pratica una “fotografia” dettagliata del lago e dei suoi veleni, primo passo verso una bonifica attesa da decenni. Le analisi sono state effettuate a novembre, i risultati arriveranno presto. Ma è facile immaginare che non si discosteranno molto da quanto già trovato nel 2001. Il timore è che le melme acide abbiano contaminato la falda. I piezometri a valle non hanno mai riscontrato tracce di sostanze tossiche, ma la relazione tecnica dell’Eurogeo evidenziava che “la presenza di un elemento potenzialmente produttore di inquinamento in un ambito caratterizzato da vulnerabilità intrinseca media, aumenta in maniera considerevole il rischio di una potenziale contaminazione della falda”.
Dopo l’ennesima relazione bisognerà passare finalmente ai fatti, impresa che in 35 anni non è mai riuscita. “Si parlò della bonifica alcuni anni fa – spiega il sindaco Mario Aceti – perché rientrava nel progetto di realizzare l’ortomercato oppure il nuovo stadio, ma poi non se ne fece nulla. Secondo il piano territoriale della Provincia quella zona è destinata alla costruzione di attrezzature di interesse sovracomunale: chi vorrà intervenire dovrà sobbarcarsi anche i costi della bonifica”. Al momento però non c’è nessuno che abbia voglia di investire nell’area. E il lago nero resta dov’è.