Gioia Tauro senza il suo porto. È la prima volta dal 1995, anno di nascita dello scalo. La Medcenter container terminal ha deciso di chiuderlo ieri alle 19. “Non ci sono navi in arrivo e quindi non ci sarebbe motivo che il porto ed il suo personale vengano mantenuti operativi” fanno sapere dal porto calabrese, per giustificare una decisione che ha sorpreso i 1200 dipendenti i quali, seppur per 30 ore, sono stati posti in cassa integrazione. Ma è una decisione che ha sorpreso, di fatto, anche l’Autorità portuale che, grazie a un avanzo di bilancio, dal febbraio scorso fino a dicembre, era riuscita a ridurre le tasse di ancoraggio e quindi a contenere la crisi dei traffici. Una decisione presa per contrastare la concorrenza dei porti del nord Africa come Port Said in Egitto e Tangeri in Marocco nei quali i costi dei servizi e della manodopera sono inferiori a quelli europei. Anche per questo motivo molte compagnie di navigazione, per ridurre le perdite registrate negli anni precedenti a causa della crisi economica, hanno dirottato le loro navi negli scali del nord Africa. Gli stessi dove sembra che la Medcenter nutra interessi economici. Da ieri sera neanche un porta container è attraccato al porto di Gioia dove sono ferme pure le 22 gru mentre i dipendenti stanno protestando davanti all’ingresso del terminal.
“Il 12 gennaio abbiamo un incontro con l’Mct a cui chiederemo che ci sia chiarezza sulla chiusura del porto per 30 ore” dice Antonino Calogero, segretario generale della Cgil nel comprensorio della Piana di Gioia Tauro. “In questa partita peserà l’atteggiamento del governo centrale e della giunta regionale. La Regione Calabria non ha dato seguito all’accordo di programma quadro e non ha messo in campo iniziative per favorire la polifunzionalità del porto. Al di là dei proclami servono i fatti. Aspettiamo di essere smentiti e intanto mettiamo a rischio uno scalo che ha una funzione strategica per la Calabria e per l’intero paese”.
Preoccupazione per le sorti del porto anche da parte del presidente dell’autorità portuale Giovanni Grimaldi: «Non è un fatto di grande rilevanza che l’attività di un porto si fermi per un giorno. Lo è, invece, sul piano dell’immagine, anche se si tratta di 30 ore. Resto, comunque, preoccupato per i difficili rapporti commerciali che, in questo periodo, si sono verificati tra la Medcenter Container e la Msc”.
Le inchieste sul porto.
Non si può parlare dello scalo più importante del Mediterraneo senza riferimenti alla ‘ndrangheta. Lo testimoniano i continui sequestri di cocaina, che arriva a fiumi nascosta nei container, ma anche le inchieste sulle infiltrazioni mafiose. Un porto che non riesce a decollare e che, stando alle indagini della Direzione distrettuale antimafia, è in mano alle cosche della Piana di Gioia Tauro. Era già emerso 10 anni fa, infatti, che “la società che, dal 1995 gestiva l’attività di c.d. transhipment nel porto di Gioia Tauro, la Medcenter container terminal, pagava la somma di un dollaro e mezzo per ogni container movimentato”.
La “madre di tutte le estorsioni” l’hanno chiamata i magistrati che erano riusciti a ottenere la condanna del boss Pino Piromalli. A distanza di molti anni, il porto è ancora al centro di numerose altre indagini. “La Piana … la Piana è cosa nostra facci capisciri … il Porto di Gioia Tauro lo abbiamo fatto noi, insomma! Hai capito o no? Fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede là sopra è successo tramite noi, mi hai o capito?” è la raccomandazione del latitante Aldo Micciché a Gioacchino Arcidiano prima di recarsi da Marcello Dell’Utri per conto della famiglia mafiosa dei Piromalli.
L’intercettazione è finita nel fascicolo dell’inchiesta “Cento anni di storia” nell’ambito della quale il sostituto procuratore Roberto Di Palma e la squadra Mobile sono riusciti a svelare i pupari della “All Services”, una società che dal 1999 svolge attività di movimentazione delle merci all’interno del porto. In un primo momento le cosche si limitavano all’attività puramente estorsiva ai danni della “All Services” per poi attuare una nuova strategia volta ad affermare la propria presenza “interna”, come impresa, nella gestione degli affari del porto. Dal 2006 fino ai primi mesi del 2008, due diversi gruppi si sono contesi l’acquisizione della cooperativa “All Services”, preventivamente portata allo stato di liquidazione coatta amministrativa: da un lato Girolamo Molé e il suo braccio operativo Giuseppe Arena, dall’altro una cordata formata dall’imprenditore romano Pietro D’Ardes, titolare della Cooperativa Lavoro di Roma affiancato dall’avvocato Giuseppe Mancini ed alleatosi con gli Alvaro (che avevano ricevuto l’avallo dei Piromalli).
Il 31 gennaio 2009 D’Ardes e gli Alvaro sono riusciti a imporsi ottenendo la cessione della cooperativa. Il giorno dopo, l’omicidio di Rocco Molé ha segnato il punto di non ritorno nei rapporti tra le due principali consorterie mafiose della Piana. Che la ‘ndrangheta abbia i suoi tentacoli ben saldi nel porto di Gioia Tauro lo ha dimostrato anche l’operazione “Maestro” contro la cosca Molé. In manette, nel dicembre 2009, era finito Cosimo Virgiglio (oggi collaboratore di giustizia), l’uomo di fiducia del defunto boss Rocco Molè (per quanto riguarda gli affari del porto) e amministratore della società di import-export “Cargoservice srl” (ed attualmente titolare di fatto della “C.D.E. s.r.l.” intestata alla moglie) che avrebbe favorito l’importazione fraudolenta di articoli di abbigliamento provenienti dalla Cina eludendo il sistema di controllo automatico dell’agenzia delle Dogane.
Con il meccanismo della sottofatturazione, questa società evadeva quote rilevanti di dazi e iva. Nell’inchiesta, il Ros ha avuto la collaborazione dell’ufficio centrale delle Dogane che ha consentito alla Dda di fare luce sulla posizione dell’ex direttore dell’Ufficio Doganale presso il porto di Gioia Tauro e del funzionario dello stesso ufficio i quali hanno favorito gli affari illeciti della cosca Molé omettendo i controlli dovuti e necessari nei confronti della “Cargoservice srl”.
di Lucio Musolino