Il post Sindacato mea culpa – che ha criticato la miopia politica dei sindacati – ha scatenato una valanga di commenti. Bene. Critiche a parte, una domanda sorge spontanea: cosa bisogna fare per invertire quella brutta tendenza che da trent’anni vede salari e diritti diminuire vertiginosamente?
La centralità operaia non salverà i diritti di nessuno. Serve coinvolgere i precari e le precarie e per farlo bisogna cambiare prospettiva: introdurre politiche di reddito che trasformino il diritto al lavoro in diritto alla scelta del lavoro.
Prima obiezione: ma se il lavoro non c’è?
La risposta è immediata. Va rivendicato un reddito di base, come del resto esiste in tutta Europa. Bisogna infatti richedere politiche di welfare a sostegno di reddito e servizi.
Seconda obiezione: ma quanto costa e dove si trovano i soldi?
Garantire un reddito minimo di 600 euro al mese a chi ne è sprovvisto (immigrati regolari compresi) costa circa 20 miliardi di euro, ma il costo effettivo sarebbe di solo 5,2 miliardi, un quinto dell’ultima finanziaria di Tremonti! Il reddito andrebbe a sostituire i 14,8 miliardi distribuiti oggi come sussidi di disoccupazione, indennità di mobilità e casse integrazioni al minimo (risorse usate in modo distorto perché inaccessibili ai precari, mentre il reddito di base garantirebbe tutti).
Di soldi, poi, in Italia ce ne sono ovunque. Dai 500 milioni garantiti a Lunardi come indennizzo per l’eventuale mancata costruzione del ponte sullo stretto di Messina, al miliardo e 800 milioni regalati alla Novartis per il vaccino mai distribuito di un’influenza tutta mediatica, per non parlare dell’evasione fiscale o delle spese militari. Per costruire una nuova alleanza fra generazioni e precari i passi e le misure ci sono: garantire continuità di reddito, introdurre il salario minimo orario, investire nei servizi e nella conoscenza, ridurre le tipologie contrattuali, separare assistenza e previdenza.
La discussione è aperta agli Stati Generali della Precarietà 2.0, il 15 e il 16 Gennaio 2011 al centro sociale Fornace di Rho (Milano) dove migranti, studenti, lavoratori della conoscenza e operai discuteranno delle diverse forme di precarietà, da quella lavorativa-esistenziale ormai paradigma fondante i rapporti di lavoro, a quella dei territori, a quella della formazione e dei saperi.