Aveva concesso un cinema in comodato d’uso gratuito all’ex sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, oggi governatore della Regione, che lo aveva trasformato nella sua segreteria politica per le amministrative del 2007. L’immobile che ospitava alcuni anni fa lo storico cinema “Margherita” oggi è sotto sequestro, come tutto l’impero del “re dei videopoker” Gioacchino Campolo sulla cui testa, da ieri pomeriggio, pende una richiesta di condanna per 21 anni di carcere.
L’imprenditore reggino, pezzo da novanta di quella zona grigia che muove i fili nella città dello Stretto, è accusato di estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Diverse ore si sono rese necessarie per la requisitoria del pubblico ministero Beatrice Ronchi che ha chiesto alla seconda sezione del Tribunale di Reggio di trasmettere gli atti del processo in procura per formulare una richiesta di rinvio a giudizio per associazione mafiosa.
Il sostituto della Dda ha ricostruito il cosiddetto “metodo Campolo” mettendo in fila le risultanze investigative della Guardia di Finanza. Campolo, che aveva quasi il monopolio delle slot-machine distribuite nelle sale giochi, avrebbe imposto ai titolari del “Punto Snai” di Modena (un quartiere di Reggio Calabria) l’installazione delle sue macchinette “mangiasoldi”. Un reato che l’imprenditore avrebbe commesso assieme a Gaetano Andrea Zindato, rampollo dell’omonima cosca reggente nella zona sud della città, condannato in primo grado a nove anni di carcere.
Campolo, che è difeso dagli avvocati Francesco Calabrese e Giovanni De Stefano, avrebbe approfittato anche dei dipendenti della sua ditta “Are”, costretti, secondo l’accusa, ad accettare condizioni di lavoro inaccettabili. Forte di un tessuto sociale fragile dove l’alternativa è la disoccupazione, l’imprenditore imponeva infatti una paga inferiore a quella indicata in busta. E poi niente ferie, straordinario non retribuito, nessuna tredicesima o quattordicesima.
Il profilo dell’imprenditore
«Contiguo ad ambienti della ‘ndrangheta reggina; presunto favoreggiatore di alcuni ricercati della Piana di Gioia Tauro (ed in particolare di Giuseppe Ferraro); compare del boss Antonino Imerti detto “Nano feroce” ed appartenente alla consorteria mafiosa condelliana». È questo il profilo di Gioacchino Campolo tracciato dai magistrati della Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Nel 2004 «ha affittato un immobile di proprietà sito in via Fiorentini a Giorgio De Stefano, alias “l’avvocato”. Circostanza che lascia supporre un avvicinamento all’area destefaniana della ‘ndrangheta reggina».
E del “re dei videopoker” avevano parlato anche alcuni collaboratori di giustizia. Tra questi il pentito Paolo Iannò che lo ha indicato come un personaggio vicino alle cosche mafiose: «In relazione al settore delle scommesse, ricordo l’interesse di Filippo Serraino negli anni ante 1995; altro soggetto inserito nel settore è Gioacchino Campolo (che mi è stato segnalato dal Serraino), il quale mi ha fornito delle macchine da gioco per una sala giochi che avevo aperto. Il principale business di Campolo era, comunque, il video-poker, praticato con macchinette non omologate: la manomissione delle schede interne alla macchina era effettuata direttamente dal Campolo e dai suoi tecnici. Ogni singola macchina installata presso la sala giochi da me gestita, poteva fruttare anche ottocentomila lire al giorno, che venivano poi divise a metà tra il gestore del locale ed il Campolo, quale fornitore della macchina. Anche tale Nunnari Domenico di San Giovanni di Sambatello, forniva macchine truccate. Si diceva nell’ambiente da me frequentato che il Campolo fosse anche una persona che prestava somme di denaro applicando tassi di interesse variabili: ricordo che di tale circostanza si era discusso a proposito della intenzione del Campolo di acquistare un cinema-teatro sul corso Garibaldi».
Sarà quello stesso cinema a divenire la segreteria politica dell’ex sindaco Giuseppe Scopelliti nei primi mesi del 2007. A quei tempi il nome di Campolo, in città, è già sinonimo di un contesto torbido nel quale sguazzano rampolli delle cosche, pezzi da novanta della ‘ndrangheta e politici collusi. Un imprenditore a disposizione insomma. Il pentito Nino Fiume, ex killer degli “arcoti”, ha raccontato della particolare vicinanza di Campolo ai De Stefano ed al loro capo Orazio De Stefano e della protezione di cui godeva proprio per questa ragione. Protezione che veniva ricambiata favorendo i De Stefano in vari modi, ad esempio con immobili concessi in comodato d’uso gratuito a pregiudicati come Giorgio De Stefano, l’avvocato Paolo Romeo e Natale Iannì. Ma anche il cambio di assegni a uomini delle cosche, come ha ricordato il collaboratore Giovanbattista Fracapane, anche lui ex killer, che ha confermato la vicinanza di Campolo ai De Stefano. Fracapane ha anche aggiunto che fu proprio il capo cosca Orazio a bloccare Mario Audino, boss del quartiere di San Giovannello, il quale era intenzionato ad assassinare Campolo per consentire a Giovanni Tegano e Giuseppe La Villa di prendere il suo posto nel settore dei videogiochi».
L’ombra che oltre a favorirl, il “Re dei videopoker” sia stato per anni la “lavatrice” delle cosche traspare da un provvedimento di sequestro eseguito nei mesi scorsi dalla Guardia di Finanza che ha applicato i sigilli a beni immobili per oltre 330 milioni di euro. E traspare soprattutto nella parte relativa ai «rapporti di frequentazione e spesso anche di condivisione di interessi economici e affaristici tra il Campolo e soggetti accreditati, sulla base dei loro trascorsi giudiziari, di far parte integrante dell’organigramma di cosche reggine».
Il Campolo-pensiero
«Sino a che ti rompe il cazzo la ‘ndrangheta, ti brucia la macchina, ti fa qualcosa, vabbé, o ti sistemi, o la smettono … omissis … in qualche modo ti sistemi. Ma quando è la ‘ndrangheta dei colletti bianchi, ti rovinano con tutta la famiglia … ti rovinano». In queste poche parole, captate dalle cimici della Guardia di Finanza, si comprende il “Campolo pensiero”. Quello di un uomo che, secondo la Direzione distrettuale antimafia, nutre profonde amicizie con i De Stefano e con quei colletti bianchi che, in alcune occasioni, lo hanno coperto consentendogli di seguire passo passo le indagini che lo riguardavano. Recapitando nel suo ufficio anche gli atti giudiziari che lo riguardavano.
Conoscenze importanti, pezzi infedeli dello Stato che consegnavano a Campolo (o a chi per lui) documenti riservati al centro delle indagini della Procura. È cosi che l’imprenditore reggino è venuto a conoscenza, già nel 2000, di un procedimento sul suo patrimonio immobiliare che solo nel 2007 ha portato ai primi sigilli.
Altre conversazioni spiegano meglio chi sia il soggetto. Una, ad esempio, con tale Papisca: «Non arrestano né i politici, né i ladri abituali e non perseguitano neanche i delinquenti… Ormai si ha da fare … noi parliamo della ‘ndrangheta di Reggio, la ‘ndrangheta di Reggio è fesseria! C’è la ‘ndrangheta di Roma, c’è la ‘ndrangheta nel Governo, c’è la ‘ndrangheta in tutti i posti … poi vi dico una cosa, guardate, per esperienza mia … la ‘ndrangheta e la mafia sono quelle che fanno meno male e vi dico subito perché: perché, vedete se voi magari un magazzino, avete sto magazzino e glielo affittate ad una gelateria e lo vuole un malandrino in affitto e vi può dire: quel magazzino mi interessa a me! Se voi non glielo volete dare, vi possono sparare nella gamba, nelle gambe o una botta nella testa … incompr. … voi dite, ma uno lo ammazzi? Ma voi pensate che è meglio se a uno lo ammazzano oppure che lo infangano a lui, ai figli, ai nipoti e a tutti pari pari, che dite voi?».
di Lucio Musolino