Società

Morte a Bologna

La morte del bambino bolognese ci pone alcune riflessioni e ci suggerisce alcuni immagini. L’invisibilità di chi vive per strada si è estesa anche all’innocenza di un essere umano di pochi giorni. Questa famiglia che ciondolava tra le sale di una biblioteca e la strada, tra Piazza Maggiore e una mensa per poveri, ci dà l’esatta dimensione del livello di disumanità di un “egoculturalismo” paralizzato all’idea di rivedere certezze dogmatiche. Si troveranno i responsabili all’interno dei servizi sociali e ancora una volta, insieme alle loro responsabilità, riusciremo a trovare le modalità con cui tutti noi siamo soliti sgravare le nostre coscienze. E’ sufficiente giocare con le parole perché i servizi da sociali diventino asociali, ma cosa ben più difficile appare l’esercizio di assolverci come società che non ha più occhi per la miseria.

Nello sfuggire ad essa, sfuggiamo anche i corpi e i volti che la incarnano. Oggi è un bambino, domani un anziano signore, dopodomani uno straniero di cui non conosciamo il nome. Sfuggiamo queste facce come fossero la peste, ragionevolmente pensando che, se non noi, altri se ne occuperanno. Per poi scoprire che altri non se ne occupano perché è sempre più difficile occuparsi delle innumerevoli sfaccettature della povertà culturale, sociale ed economica in anni in cui, darsi da fare realmente, significa spendere denari che si ritengono più utili ad altre cause. Oppure perchè privi di strumenti reali per potere intervenire senza devastare l’esistenza di chi si trova in oggettiva difficoltà .

E’ giusto togliere un bambino a due genitori clochard? E’ giusto intervenire con maggiore energia anche nel caso in cui ci si rifiuta l’accoglienza in una casa alloggio? E ancora, pigiando l’accelleratore delle bestialità, è  giusto permettere che i poveri più poveri facciano figli con la stessa facilità con cui fanno l’elemosina? E c’è differenza tra queste ipotetiche posizioni?

Domande a cui raramente si cerca una soluzione nella speranza di non dovere mai scegliere e nella delega a qualche uomo di buona volontà affinchè si adoperi perchè una morte come quella bolognese non accada. Ma noi sappiamo che accade.

E pur sapendo tutto questo, mal tolleriamo che si strappi un bimbo alla propria madre perché ai margini di una vita ordinata,  o perché si estenda il dovere dei servizi ad intervenire per “imporre” un ricovero obbligatorio. Mai tollereremmo che una persona venga privata del proprio diritto a procreare.

Tutti sappiamo che esistono esistenze ai confini con l’annientamento ma tutti noi facciamo finta di non riconoscere il fatto che l’annientamento, talvolta, si dirige verso vite altrui e innocenti. Che fare? E’ un problema di destra, di sinistra, di centro anche questo? Esistono soluzioni che siano indolori per tutti?

Esiste il coraggio politico e civile di assumere decisioni che talvolta possano comprimere la libertà degli adulti a favore dei minori? O che sappiano realmente costruire opportunità, talvolta intervenendo con la coercizione, al fine di tutelare gli uni e gli altri?

Sono questioni decisive, non certo per l’economia del mondo, ma per la vita umana che, quando soppressa, si traduce in una sconfitta per tutti.

Sono questioni delicate perché la povertà non può essere una colpa, ma il diritto a vivere nemmeno un terno al lotto. Sono questioni infinite perché si ripetono. Sotto forma di neonato morto sulla strada a Bologna o di bambina bruciata viva in una baracca ai margini di una città.

Sono questioni complesse perché la povertà sempre più si accompagna, in una società distratta, a forme gravi di disagio psicologico. Pensare che siano i servizi a trovare una soluzione a tutto questo significa voltare la faccia dall’altra parte.