La piena disponibilità cela l’assoluta certezza che la maggioranza non riuscirà a durare a lungo, quindi è inutile mettersi sul piano di guerra: “Berlusconi la spina se la stacca da solo”, aveva profetizzato il 20 novembre scorso Casini durante una riunione riservata prima di intervenire all’assemblea nazionale dell’Udc a Milano. “Più lo si lascia (Berlusconi, ndr) nel suo brodo e meglio è”, aveva detto ai suoi. “Basta guardare i giornali: Carfagna, Dell’Utri. Non è importante un voto in più o in meno il 14 dicembre, anzi forse sarebbe meglio uno in più. Maggioranza o no, se Berlusconi vorrà andare a elezioni ci andrà perché sarà costretto a causarle lui. Berlusconi si logora da solo, basta lasciarlo fare”. Ciò che sta accadendo. Il 14 dicembre la fiducia è passata per soli tre voti. Domani arriverà la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento, poi ci sarà il nodo del federalismo e la mozione di sfiducia per il ministro Sandro Bondi. Il premier di guai ne ha abbastanza, inutile tentare di aggiungerne altri, è il ragionamento. Meglio dunque mostrarsi disponibili, accondiscendenti, responsabili. Senza però sottolineare le criticità dell’operato dell’esecutivo. Così, Fini, stamani a la Repubblica, dichiara che l’Italia è sul punto “dell’asfissia” e ha bisogno di “convergenze tra maggioranza e opposizione”. Ipotesi totalmente esclusa da Berlusconi. Fini si spinge a proporre un patto a “tutti, non solo al governo”, perché le elezioni ora sarebbero “una prospettiva rischiosissima. Ci si può dividere – si chiede il presidente della Camera – nel dire che gli ultimi sei mesi del 2010 non hanno rappresentato un successo per nessuno? Non credo. Sarebbe invece molto pericoloso continuare a pensare che i prossimi sei mesi saranno come i precedenti”. E spiega: “Vivacchiare è negativo per tutti. Fermi restando i ruoli, della maggioranza e dell’opposizione, è un dovere proporre soluzioni per evitare l’asfissia”, dice Fini. “Se lo scarto anziché di tre parlamentari diventa di cinque, cosa cambierebbe? Continuerebbero a vivacchiare. Ma in questa situazione non si può vivacchiare e l’opposizione non si può limitare a dire ‘valuteremo di volta in volta’. Sarebbe un gioco di rimessa, invece bisognerebbe disegnare un impianto di regole condivise”.
E se il messaggio non fosse ancora chiaro, Fini torna sull’apertura all’esecutivo arrivata ieri da Casini, giusto per sottolineare come sia fuori luogo che l’Udc possa aiutare in aula il premier. “Se si votasse (io e Casini, ndr) staremmo insieme”. E, garantisce Fini, l’asse tra i due è saldo: “L’ho visto anche stamattina”, dice. Più che un tandem sembra una staffetta. Con Casini che boccia il federalismo, irritando la Lega, e Fini che invece si mostra dialogante: “Il decreto sulle Regioni è la vera sostanza; verificheremo alla fine se Calderoli troverà l’accordo con Tremonti sui saldi”.
Un’operazione di finissima tattica politica, quella attuata dai due leader, di cui Berlusconi e i suoi ignorano quasi totalmente i meccanismi. E questo potrebbe far cadere il premier nel trappolone. Se il progetto, così come illustrato da Casini a novembre, non è cambiato, l’obiettivo è quello di portare Berlusconi alle dimissioni. Ed è inutile esporsi in prima persona, ragionano nel Terzo Polo, basta aspettare che il presidente del Consiglio faccia il suo cammino: giovedì la sentenza della Consulta potrebbe incrinare gli umori, già fortemente provati, della Lega; il passaggio del federalismo poi potrebbe convincere Umberto Bossi ad accordarsi su un eventuale governo tecnico guidato da Giulio Tremonti, ma solo se appare come una decisione spontanea e non suggerita al Carroccio. Quindi, ha ragionato Casini con i suoi, è bene stare ben nascosti mostrandosi disponibili. Solo quando la preda è nella trappola la tattica si dimostra vincente.