“Giù le armi”, implora nel suo blog la dolcissima Angela Vitaliano, narrando la molto triste ed emblematica storia di Christina, nata l’11 settembre del 2001 – quando a New York crollavano le Torri Gemelle – e morta nove anni dopo a Tucson, mentre, assistendo all’incontro tra la deputata Gabrielle Giffords ed i suoi elettori, cercava di capire come funziona la democrazia. E io sono ovviamente, anima e corpo, dalla parte di questo accorato appello. Il problema, tuttavia, è che i buoni cittadini dell’Arizona (e non solo dell’Arizona) non sembrano essere della stessa opinione. Leggo, infatti, in un dispaccio dell’agenzia Bloomberg, quanto segue: “Si moltiplicano, dopo la strage, le vendite della Glock”.
La Glock – o, più esattamente la Glock 19 – è la pistola semiautomatica usata da Jared Lee Loughner (il pazzerellone che, sabato scorso, ha rinverdito la molto americana tradizione delle stragi della follia) per uccidere Christina ed altre 5 persone, ferendone gravemente altre 14 (tra le quali, com’è noto, la stessa Gabrielle Giffords, ancora sospesa tra la vita e la morte). Anzi –visto che quella medesima pistola fu usata anche nell’aprile del 2007, per ammazzare le 32 persone crivellate nel massacro della Virginia Tech – si può tranquillamente affermare che la Glock 19 (molto leggera e in grado di sparare 31 volte in meno di 10 secondi) sia ormai da tempo la “weapon of choice”, l’arma preferita da quanti, per follia, per piacere o per fede politico-religiosa, sentono l’urgenza di uccidere il maggior numero di esseri umani nel più breve tempo possibile.
L’agenzia attribuisce l’esponenziale aumento delle vendite a due fattori. Al (piuttosto infondato, ma ben presente) timore che, dopo la strage, la vendita della Glock possa venire proibita o limitata; e – come vuole la più elementare delle leggi del commercio, alla pubblicità che la strage ha generato. La Glock è stata creata per uccidere. E più uccide, più è desiderata. Volendo guardare alle cose con un pizzico di realistico cinismo: con la sua esibizione nel Tuscany Village di Tucson, Jared Lee Loughner non ha soltanto disseminato orrore e sconforto tra i moltissimi americani (armati e disarmati) che odiano la violenza, ma ha anche regalato un efficacissimo spot televisivo gratuito alla Glock GmbH, l’azienda di Deutsh-Wagram, Austria, che produce la sempre più popolare arma.
Qualcosa del genere – o, se si preferisce, qualcosa di analogamente paradossale – è del resto successo, volendo dare uno sguardo d’assieme, anche alla battaglia per il cosiddetto “gun control” negli USA. Nel 1994, quando Bill Clinton fece approvare l’ultimo provvedimento di qualche peso in questo campo (il cosiddetto “Brady Bill” che vietava un certo numero di armi da guerra ed introduceva l’obbligo di un preventivo controllo sui precedenti penali e psichici dei compratori d’armi), oltre il 70 per cento dell’opinione pubblica era favorevole ad un più rigido controllo della vendita e della diffusione delle armi da fuoco (250 milioni di pezzi, o giù di lì). Oggi questa percentuale è scesa al 44 per cento. Merito della NRA (la potentissima lobby dei fabbricanti e dei proprietari di armi) che in questi anni ha messo – prima la classe politica, poi la pubblica opinione – di fronte alla pratica inopportunità d’una battaglia per il “gun control”. In sostanza: chi tocca il “terzo binario” del controllo della vendita d’armi, muore fulminato. E ciò per il semplice fatto che molto raramente quanti sono a favore del controllo considerano questo un fattore decisivo nella scelta del candidato da votare, mentre, al contrario, proprio su questo – chiamatelo, se vi pare, il “fattore F”, effe come fanatismo – basano le proprie scelte elettorali i difensori della piena ed assoluta libertà di “portare armi”. Nella corsa presidenziale dell’anno 2000 (decisa da poco più di 500 voti e dalla geografia politica della Corte Suprema), Al Gore perse lo Stato del Tennessee (il suo Stato), proprio per la campagna contro di lui condotta dalla NRA.
O, almeno, questa fu la conclusione alla quale arrivarono molti dei politologi. Risultato: pochissimi, da allora, sono stati i democratici che hanno messo in gioco la propria carriera politica nel nome del “gun control”. E sempre meno – inevitabilmente – sono diventati gli americani disposti a credere nella possibilità di limitare la vendita delle armi. Al punto che anche Obama – il candidato del cambio e della speranza – fin dalle primissime battute della sua campagna presidenziale, nel 2008, una cosa aveva messo in chiaro: lui del Secondo Emendamento (quello che garantisce il “diritto di portar armi”) era un incondizionato sostenitore. E, se eletto, nulla avrebbe fatto (promessa mantenuta) per limitare la vendita di armi negli Stati Uniti d’America.
Qualcuno potrebbe, a questo punto, pensare, che, nel loro trionfo, la NRA e la destra americana (che, notoriamente, considera la “libertà di armarsi” un elemento essenziale del proprio armamentario ideologico) abbiano, come dire, affievolito la propria aggressività. Ma è vero l’esatto contrario. Con l’elezione di Obama (sotto la cui guida, lo ricordiamo per inciso, il diritto di portar armi è stato surrettiziamente esteso anche ai parchi nazionali) l’aggressività è, anzi, diventata una vera e propria forma di paranoia. Il governo – sono andati in questi due anni ripetendo, facendosi reciprocamente eco, la NRA ed il Tea Party – s’appresta a bussare alle vostre porte per portarvi via le armi in quello che non può essere che il primo passo verso una nuova forma di tirannia. La quale tirannia – vedi riforma sanitaria – vuole, attraverso i suoi “burocrati senza faccia”, decidere tutto sulla vita e sulla morte di cittadini diventati sudditi. Dunque, non solo continuate ad armarvi, ma preparatevi a sparare.
La strage di Tucson – quali che fossero le idee che frullavano nella mente malata di Jared Lee Loughner – è maturata dentro questa paranoia ad arte alimentata. E di questa paranoia fanno parte i “mirini” – il più noto di un’infinità di casi – nei quali la campagna di Sarah Palin (ne parla anche Angela nel suo blog) aveva inquadrato Gabrielle Giffords ed altri candidati democratici “da abbattere” (“Take Down the 20” si intitolava la campagna).
Domanda: quali saranno, ora, le conseguenze della strage? L’America “abbasserà le armi” come chiede Angela? O – come la notizia di Bloomberg sembra suggerire – le alzerà ulteriormente? Quante altre Christina dovranno ancora morire, a nove anni, cercando di capire come funziona la democrazia americana?