Il Secolo d’Italia se lo chiede con una domanda (speriamo) retorica: “Berlusconi ora è pure antitaliano?“. Ecco, sinceramente, io avrei tolto il punto interrogativo. Senza remore. Perché è proprio partendo da questa affermazione che forse si riesce a capire perché una certa destra ha deciso di rompere definitivamente con il pifferaio di Arcore. Insomma, è una questione sostanzialmente patriottica. Quelli che dicono che “potevate accorgervene prima” hanno molte ragioni, ma non tengono in conto l’impeto interiore figlio degli eventi di questi ultimi due anni. La puerile, falsa ed egoistica speranza di potere trasformare il rospo “imprenditore” in “principe statista” si è infranta contro il muro di un berlusconismo in fase senile che, invece di ammorbidirsi, si è sempre più indurito, incaponito nei suoi peggiori difetti, incattivito. Tanto da diventare, appunto, “anti italiano”.

La frase su Marchionne di ieri è una delle tante prove: un presidente del consiglio per il quale la Fiat “fa bene ad andarsene”, cos’è se non anti-italiano? Un presidente del Consiglio che in visita ufficiale all’estero definisce i giudici del suo paese “una patologia”, cos’è se non anti-italiano? E un leader che trasforma il popolarismo europeo in un movimento di destra estrema, come ha spiegato ieri Italo Bocchino, cosa è se non anti-italiano? E se pure uno come Feltri si chiede quanto bene potrebbe fare al paese un Silvio Berlusconi al Quirinale con tanto di escort al seguito… Sì, in fondo è così. Oggi, molto concretamente e senza troppo politichese, antiberlusconismo è sinonimo di patriottismo. Un patriottismo che, come deve essere, come è stato dopo il crollo del fascismo nella fase costituente, unisce persone culturalmente, politicamente molto diverse tra loro…

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