Ora che il caso Battisti è diventato un caso internazionale (la Corte dell’Aia potrebbe proporsi per risolvere la questione fra Italia e Brasile) che mette in crisi i rapporti tra due paesi e le regole del Diritto vigenti in occidente, il gruppuscolo di opinionisti che ha sostenuto il terrorista fa festa. Perché è dalla Francia che l’imbroglio è partito e i pensatori mediatici locali vanno fieri del subbuglio provocato. Li ispira un superomismo middlebrow, un nietzschianismo deteriore e mal interpretato. Ma il caos che hanno in testa alimenta solo il caos esistente, l’attuale crisi della democrazia e una situazione internazionale sempre più tetra.
Cesare Battisti, santificato da alcuni intellettuali francesi, è stato condannato all’ergastolo in Italia per quattro omicidi due dei quali eseguiti personalmente con colpi di pistola alla nuca. Egli esordì come criminale comune rapinando per lucro personale negozi e supermercati fino al momento in cui, in prigione, pensò di mettere la sua esperienza al servizio di un gruppo terrorista (i PAC, Proletari Armati per il Comunismo). Evase dal carcere insieme al terrorista che lo aveva istruito e a un mafioso loro amico. A quel punto, le rapine presero un’altra natura: non erano più rapine a mano armata, si chiamavano “espropri proletari”. E se ci scappava il morto, pazienza.
Battisti fuggì in Francia clandestinamente approfittando della cosiddetta “legge Mitterrand” (Doctrine Mitterrand) che concede il diritto di asilo purché l’ospite non abbia commesso delitti di sangue. Dunque Battisti avrebbe dovuto essere subito arrestato e restituito all’Italia poiché di delitti di sangue ne aveva commessi ben quattro. Invece no, viene dichiarato “rifugiato politico”. La domanda fondamentale è: perché? La mia risposta coincide con quanto ha scritto il magistrato Bruno Tinti su Il Fatto Quotidiano dell’8 gennaio 2011: “Si entra nel campo delle ipotesi, ma potremmo definirle ipotetiche certezze perché alternative non ce ne sono: Battisti collabora con i servizi segreti francesi a cui vende tutto quello che sa sul terrorismo internazionale. Lo ammetterà anche lui raccontando di essere stato aiutato dai servizi francesi nella sua fuga in Brasile”.
I processi in contumacia a Battisti si sono svolti con le massime garanzie, perché l’Istituto giudiziario italiano, a differenza di quello francese, prevede che il fuggiasco sia comunque assistito da avvocati, beneficio di cui Battisti ha ampiamente goduto. Sottolineo che nel caso di terrorismo contro lo Stato, in Italia il reo è giudicato da un tribunale ordinario che emette una sentenza con motivazioni. In Francia, al contrario, in casi come questi opera un tribunale speciale, al chiuso, ed emette sentenze senza motivazioni (è una delle ragioni per cui la Francia ha più volte subito censure da parte della Commissione europea dei Diritti umani).
Ma veniamo agli intellettuali. L’anziano “nouveau-philosophe” Bernard-Henry Lévy, che sul proprio blog ha messo l’immagine di Battisti accanto a quella di Sakineh, dovrebbe riflettere sull’irresponsabilità di cui si fa carico [prima che in qualche altro luogo (in Corsica, per esempio), nasca un blog analogo con l’immagine della donna iraniana da lapidare accanto a quella di un terrorista in galera. Purtroppo B. H. Lévy ha delle convinzioni che si basano soprattutto sulle proprie convinzioni, e] quando si lancia nella difesa di Battisti così esordisce: “Ignoro se Battisti abbia commesso o no i crimini che gli sono imputati” (Le Point, 19 febbraio 2009). [Degli omicidi, a Lévy, non importa niente: gli interessa quello che lui pensa di Battisti. Ma non è il solo.] Si tratta di una nuova dottrina dei nostri tempi: l’hanno già abbracciata Berlusconi in Italia, il ministro Hortefeux in Francia e, negli Stati Uniti, George Bush, quando Colin Powell anni fa all’Onu affermò che delle prove concrete degli osservatori dell’Onu sull’Iraq non gliene fregava assolutamente niente.
Del resto la visione molto curiosa della Storia propria e altrui, B. H. Lévy l’aveva già espressa in una sua rubrica tirando in ballo le amnistie del governo francese: “E’ quello che abbiamo fatto noi francesi amnistiando sotto De Gaulle gli amici del Front de Libération Nationale (dell’Algeria), e poi, con Mitterrand, i crimini dell’OAS. E questo è il vero servizio che possiamo rendere oggi ai nostri amici transalpini: aiutarli a pensare, volere quest’amnistia; farli beneficiare della nostra piccola esperienza storica in queste faccende fortemente scottanti…” (Le Point, 8 luglio 2004).
Ma chi è chi in questo forzato abbinamento? Il FLN sarebbe il terrorista e l‘OAS la magistratura? Inoltre, sull’amnistia francese, il discorso sarebbe lungo perché è noto che ha favorito soprattutto l’OAS. [Comunque non abbiamo bisogno dei paternalistici consigli di B. H. Lévy: che li venda alle anime semplici.] Questi intellettuali, nel riferirsi con arroganza alla magistratura italiana, ignorano il prezioso servizio che i magistrati hanno reso alla democrazia e alla Costituzione italiane. [Non sanno che se il terrorismo (rosso e nero) non ha avuto derive autoritarie è grazie alla nostra magistratura.] Non sanno che la magistratura ha fatto arrestare in questi anni centinaia di mafiosi, di camorristi, di politici corrotti di tutti i partiti. E non sanno che molti di questi magistrati hanno pagato con la vita. Ed evidentemente non sanno che Silvio Berlusconi, fin dal suo arrivo al potere, ha definito la magistratura “un cancro da estirpare”. E dal suo punto di vista è davvero un pericolo, perché la magistratura in Italia è indipendente, non obbedisce al ministro della Giustizia come in Francia.
Alla mancanza di informazione della scrittrice di polizieschi Fred Vargas (pseudonimo di Frédérique Audoin-Rouzeau), che è diventata la filosofa del diritto più preparata di Francia sul caso Battisti, aveva risposto come si deve il magistrato Armando Spataro su le Monde del 14 novembre 2004. Per informazione dei lettori francesi, Armando Spataro è un magistrato al quale si devono inchieste giudiziarie delicatissime e importantissime: mafia, corruzione di politici, servizi italiani “deviati”, illecite operazioni della CIA sul territorio italiano durante la presidenza Bush. [Auspico per questi argomenti una rapida traduzione del suo recente libro ‘Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa’ (Laterza Editore): sarebbe utile in un paese in cui l’Italia sembra un pianeta lontano. ]
Anche la signora Fred Vargas ha le sue “convinzioni”, e non spetta a me convincerla, lei che si è recata in Brasile per svolgere la propria opera di convinzione. Inseguendo il suo eroe e criticando le leggi sui collaboratori di giustizia del sistema italiano, ha però dimenticato la pentita Frédérique Germain, detta Blond-blond, che nel 1988 fece condannare i terroristi francesi di Action Directe, che non ha mai scontato la sua pena perché aveva collaborato con la giustizia. Le ricordo che il gruppo terrorista fu condannato all’ergastolo e lo Stato francese, che avrebbe potuto mostrare maggiore indulgenza, aveva praticamente buttato via la chiave. Nathalie Ménigon, emiplegica dal 1996 per due attacchi celebrali, ha atteso fino al 2008 nella prigione di Bapaume per ottenere la semi-libertà; e Georges Cipriani, impazzito in prigione e portato nel 2001 nel manicomio di Sarreguemines, ha avuto la semi-libertà solo nel 2010. La legge Kouchner sui prigionieri vecchi e malati li ha presi in considerazione in ritardo e ne ha beneficiato in priorità l’ex prefetto collaborazionista Papon.
Un altro intellettuale molto disinvolto su questa faccenda è Philippe Sollers. Ecco alcune sue affermazioni in un’intervista a un giornale italiano: “Poiché la Francia si è pronunciata sul diritto di asilo non ci deve essere estradizione, il diritto di asilo non consiste nel giudicare nel merito (…). In Italia c’è stato anche un terrorismo di Stato molto importante in quegli anni: è stata una vera guerra civile e sociale”. E conclude rivolgendosi al giornalista che lo intervista: “Per noi è solo una questione di diritto. Se lei fosse francese capirebbe facilmente” (Repubblica, 5 marzo 2004). Possibile che Philippe Sollers, al quale sta tanto a cuore il Diritto, non si sia reso conto che in Francia esiste ancora una legge arcaica, censurata per l’ennesima volta dalla Commissione europea dei Diritti umani, come la Garde à vue (oltre 24 ore di detenzione in celle del commissariato senza diritto a un avvocato e con visita corporale a discrezione dei poliziotti)? Quanto alle sue altre affermazioni, devo smentirlo.
Certo ci fu anche un terrorismo di Stato, ed è quello che ancora non conosciamo, ma non ci fu nessuna guerra civile. E le Brigate Rosse, che alcuni intellettuali francesi vedono come eroi romantici, erano assassini che sparavano alle spalle a magistrati, giornalisti, intellettuali e poliziotti. Ma trovo soprattutto offensivo che altri, che non hanno vissuto quello che hanno vissuto gli italiani, chiedano così superficialmente che l’Italia metta una pietra sopra la nostra storia tragica ancora non chiara. Ci potrà essere un perdono giuridico, ma prima la verità storica deve venire alla luce: gli italiani sanno ancora troppo poco. Scrivo questo articolo in Francia, paese che amo molto e dove spesso vivo. Ma amo la Francia perché conosco bene la sua lingua, la sua letteratura, la sua Storia. Ma questi intellettuali conoscono l’Italia? E l’italiano, lo conoscono? Non è una domanda oziosa. Per leggere le carte dei processi di un tribunale italiano bisogna sapere bene l’italiano. (© Le Monde)
di Antonio Tabucchi
da Il Fatto Quotidiano del 16 gennaio 2011