Le belle fiabe abruzzesi.

Introduzione

C’era tra i picchi silvani
dell’Abruzzo dannunziano
un gregge lanuto e sano
di pecorelli montani,
che fino dai tempi arcani
ogni tipo di governo
trattava in modo materno.
Ma una terribile crisi
si scatenò all’improvviso
in un terribile inverno.

Perché molto più lontano,
oltre l’Oceano selvaggio,
fanno lo stesso formaggio
in puro stile italiano
nei pascoli d’altopiano.
Vendevano in un baleno,
compravano a prezzo pieno.
Le pecore brasiliane,
felici tra le banane,
costavano molto meno.

Risulta più che evidente
che in questa specie di gioco
la pecora c’entra poco,
anzi non c’entra per niente.
L’erbale fiume silente
la naviga fino al mare,
E lei si fa navigare.
La cosa che ci sta a cuore
È lo stile del pastore:
proviamone ad analizzare

Svolgimento

Quando i pastori abruzzesi
lasciavano la campagna
per transumare in montagna
isolati dai paesi
stavano via molti mesi
lontano dai campanili.
E tra profumi sottili,
in quel mare d’erba verde
C’eran pastori di merda,
c’eran pastori gentili.

Certi alzavano i bastoni
sul gregge con arroganza,
ribadendo la distanza
tra gli animali e i padroni.
Altri, con altra passione
rispettano quelle incerte.
correggono chi si perde,
e a seconda dello stile
hai un pastore civile
o un abruzzese di merda.

Disse il pastore di merda,
picchiando a terra il bastone:
“dato che sono il padrone,
non voglio che qui si perda
del tempo. Una cosa è certa:
così non può andare avanti.
Sgozziamole tutte quante
e magari con la pelle
Facciamoci le bretelle
o delle belle mutande.”

Fremettero i pecorelli
udendo questo messaggio;
Ed esibendo un coraggio
da veri capi ribelli,
piantarono sui ruscelli
dei cartelli minacciosi:
“non pagheremo una crisi
che non dipende da noi!!”
E questo gesto da eroi
lasciò i pastori sorpresi.

Qualcuno ci restò male,
qualcuno si spaventò,
E qualcun altro parlò
di “dolore sociale”.
Un fremito sindacale
attraversò tutto il gregge:
“insomma, chi ci protegge?
E quel ponte malsicuro
lungo l’antico tratturo,
siamo sicuri che regge?”

Bene, un pastore gentile
che condivida il destino
comune tra sé e l’ovino
avrebbe, in modo civile,
rasserenato l’ovile.
Ma sbuca dall’erba verde
questo pastore di merda
che grida: “democrazia?!?
Votate il progetto mio,
tanto vi sgozzo, se perdo. “

Sembra piuttosto lontano,
questa merda di pastore,
dallo stile nel dolore
del terremoto aquilano.
Con fremito dannunziano
fecero le riverenze
A queste sue prepotenze
il Nano Testa di Bronzo
e uno che studia da stronzo,
il sindaco di Firenze.

Così, andarono a votare
con il coltello alla gola,
e votarono la sola
opzione per seguitare
a poterci raccontare
questa battaglia tremenda.
Ma perfidissimamente
persero al cinque per cento:
tirando un calcio nei denti
che ancora se lo rammenta.

Fu il tripudio universale,
a risultato acquisito:
“”il gregge adesso ha capito
d’essere transnazionale”.
“E’ la Pecora Globale!”
disse Casini. Costretto
in uno spazio piu stretto,
il gregge rumina strani
bisogni, che da lontano
tornano, quasi perfetti.

Congedo

E termina finalmente
questa novella. Mi scuso
Se avessi offeso con l’uso
di metafore insistenti
Gli operai, che chiaramente
non sono pecore. È certo
Però che nei parchi verdi
di Torino illuminata
Si aggira malsopportato
un abruzzese di merda.

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