Il dibattito sulla nomina del nuovo Procuratore della Repubblica a Catania è entrato nel vivo ed è subito diventato rovente. Foto, dossier di segno opposto tra loro, sono questi gli ingredienti che circolano, come si conviene, in questi giorni.
Non vi è alcun dubbio che la soluzione migliore per la guida di una delle Procure più delicate della Sicilia sia quella di far arrivare un magistrato non catanese, un uomo che venga da fuori, che non abbia relazioni, imbarazzi, favori da scambiare e da restituire con i poteri che governano Catania.
Detto questo, e spero di essere stato chiaro, credo che vada considerata la realtà delle cose. Bisogna capire chi sono i personaggi che verosimilmente andranno a guidare la Procura etnea. Personaggi dei quali stranamente non si parla sui giornali e che si dimenticano nei convegni antimafia.
Il fronte antimafia appare concentrato esclusivamente ad impedire che il Csm nomini Giuseppe Gennaro alla guida della Procura etnea, imputandogli presunti rapporti con un mafioso poi ucciso in un agguato. Rapporti che sarebbero comprovati da una foto scattata alla prima comunione del figlio di un vicino di casa del magistrato. Peccato che tanto impegno sia sprecato. Pur essendo tra i candidati che hanno presentato domanda, Gennaro non ha, infatti, la minima possibilità di farcela. Il problema è ben altro e come al solito nessuno lo vede.
Al vertice della Procura etnea, sulla base dei titoli di anzianità e dei sostegni, diciamo così bipartisan sui quali può contare, salirà l’attuale Procuratore Generale, Giovanni Tinebra, ex procuratore capo di Caltanissetta negli anni delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Un magistrato in cordialissimi rapporti con Mario Ciancio e con i potenti della città. Uomini recentemente finiti dentro a processi ed inchieste, una delle quali, quella che ha portato al processo contro Ennio Virlinzi ed altri per lo scandalo dei parcheggi di Piazza Europa, condotta per mera coincidenza proprio dal sostituto procuratore Gennaro. Al posto di Tinebra, alla guida della Procura Generale, con ogni probabilità, ma pare che l’accordo sia già fatto, andrà il consuocero del potente imprenditore Virlinzi. Si tratta dell’attuale Avvocato generale dello Stato, Salvatore Scalia, anche lui attualmente in corsa per il posto di Procuratore della Repubblica.
Quanto basta per rasserenare i sonni di molti, sonni recentemente turbati da un certo anomalo attivismo dei magistrati della Procura etnea, i quali hanno mandato sotto processo non solo Virlinzi, l’ex sindaco Scapagnini, e una bella e folta pattuglia di imprenditori, funzionari e politici, ma hanno osato iscrivere al registro degli indagati per fatti di mafia il presidente della Regione, Raffaele Lombardo e niente meno che un intoccabile assoluto: l’editore Mario Ciancio Sanfilippo.
Si è parlato molto della foto che ritrae Gennaro con accanto l’imprenditore contiguo a Cosa nostra. Una foto della quale gli è stato giustamente chiesto conto in varie sedi, da ultimo anche sui giornali. Nessuno si è invece occupato della lunga storia professionale di Tinebra che pare non interessi a nessuno, ed è invece una storia molto interessante.
La vicenda professionale di Tinebra attraversa anni drammatici per la Sicilia e per l’Italia. Essa si intreccia in molti punti con quanto sta emergendo dalle indagini della Procura di Caltanissetta sui depistaggi e le coperture che sarebbero state garantite da apparati dello Stato – leggi servizi segreti – e da consorterie massoniche attorno alla strage di via D’Amelio.
Basta leggere quello che esce da quelle carte, quello che ci racconta la gestione di Scarantino, per ritenere quanto meno non adatta una guida di Tinebra alla rovente Procura di Catania. Vi sarebbe poi la piccola birbanteria di aver avvertito Berlusconi delle indagini a suo carico in merito alle stragi, ma, via, non andiamo troppo per il sottile.
Tutto penalmente e disciplinarmente non perseguibile, certo, ma le perplessità di ordine etico restano. Le ragioni di opportunità permangono.
Ma le preoccupazioni più forti nascono da alcune domande. Domande che andrebbero poste proprio da chi di mestiere sono le domande che deve fare. Giovanni Tinebra siede al vertice del più importante ufficio della magistratura requirente a Catania. Perché allora, quest’uomo anziano e non al cento per cento della forma fisica, ha deciso di scendere di uno scalino e sobbarcarsi un ruolo decisamente più pesante? Di certo andare a fare il Procuratore della Repubblica per il Procuratore Generale non è un avanzamento nelle funzioni e nel ruolo. Ma allora perché questa scelta, visto che poteva restare altri quattro anni al vertice della Procura Generale in assoluta tranquillità? E’ stata una sua idea, o qualcuno gli ha elargito un amorevole consiglio? Se così fosse chi lo ha – diciamo così – indotto a scendere al primo piano del Palazzo di Giustizia di Catania? E, soprattutto, mi sia consentita l’impertinenza, in nome di quali interessi?
La risposta non l’avremo dalla voce del Procuratore in pectore, ma dai fatti e dagli esiti giudiziari dei prossimi mesi a partire dal caso Ciancio e dal caso Lombardo.
Speriamo sia una risposta che fughi ogni sospetto e azzeri le preoccupazioni certamente eccessive di chi scrive; in caso contrario sarebbe opportuno affiggere un cartello sui cancelli della Procura con su scritto: “Chiuso per cessata attività”. Affinchè nessuno coltivi illusioni.