Era sempre stato il suo più fido scudiero. Ospite fisso nelle sue residenze. Commensale di dieci, cento, mille cene allietate dalle melodie di Apicella e dai sorrisi delle odalische. Definito ancora in questi giorni come un grandissimo amico dallo stesso Berlusconi. Parliamo di Emilio Fede, l’uomo che ha avuto in appalto un intero canale televisivo al solo scopo di incensare il suo mentore nonché fraterno compare. L’abusivo per eccellenza, in onda grazie al conflitto di interessi sulla pelle di Francesco Di Stefano che per oltre dieci anni ha visto negata ogni possibilità di trasmettere nonostante quelle frequenze fossero ormai sue di diritto, come ribadito da tutte le sentenze della giustizia italiana e di quella europea. Fede, il giornalista del minculpop moderno che procurava al sultano, e insieme a lui ne godeva, orde di concubine in un tripudio di carni in vendita, nel più completo disfacimento di qualsiasi valore etico e morale, indulgendo a una lascivia tale che persino le orge più scatenate di Sodoma e Gomorra al confronto sarebbero apparse come una innocua festicciola di laurea.

Nulla evidentemente è cambiato dai tempi dei romani, da quei festini goliardicamente dipinti anche nelle pagine di Asterix nei quali, al cospetto della corte dei governatori, si mangiava, ci si ubriacava, ci si accoppiava e si dava di stomaco in appositi vomitatoi, al solo fine di ricominciare daccapo ancora ed ancora, fino alla completa dissoluzione della mente (prima) e del corpo (poi). Schiavi erano tutti gli altri ieri, schiavi siamo tutti noi oggi.

In un tale disprezzo per qualsiasi forma di principio etico o di rispetto per la vita e per le proprie responsabilità nei confronti dei sudditi, lasciati in balia della carestia a coltivare illusioni e a cibarsi degli avanzi, non stupisce che, per gli officianti dei riti sabbatici celebrati alla corte dello zar, i valori così come li conosciamo noi perdano di ogni significato. Tra questi, va ridefinito il concetto di amicizia.

«Non dico che dividerei una montagna, ma andrei a piedi certamente a Bologna, per un amico in più… […] e se ti sei innamorato di lei, io rinuncio anche subito, sai, forse guadagno qualche cosa di più, un vero amico, tu.»

Così cantava Riccardo Cocciante, non senza un filo di retorica ma certamente descrivendo l’aspirazione ideale di qualsiasi rapporto che possa essere definito di amicizia. Berlusconi ha comprato di tutto nella sua vita: televisioni, sentenze, parlamentari, donne… Ma certamente l’amicizia no, quella non gli è mai riuscito di ottenerla. A meno che per amicizia lui non abbia sempre inteso qualcosa di diverso rispetto al sentire popolare – come è del resto probabile – e cioè una forma di adesione interessata ai suoi affari che nulla ha che vedere con la sfera delle emozioni o dei sentimenti, quanto piuttosto con un rapporto di spalleggiamento reciproco, un mutuo soccorso, una associazione simbiotico-parassitaria che si rinsalda nel raggiungimento e nel mantenimento del successo, con un’attitudine predatoria nei confronti del tessuto sociale che diventa una risorsa da conquistare e successivamente sfruttare senza pietà. Fede non è del resto nuovo a questa visione dei rapporti umani: già negli anni ‘80 organizzava cene per allocchi di lusso, in società con Flavio Briatore, per spennare sprovveduti e ingenui milionari al tavolo di gioco.

Così accade che anche il più fido alleato di Silvio Berlusconi, il Sancho Panza di Arcore, venga intercettato mentre insieme a Lele Mora tesse un piano per estorcere 400 mila euro al suo amico fraterno. Amico in berlusconese, si intende. Mora ha bisogno di 1 milione e 200 mila euro e Fede, che conosce bene il suo Presidente e se ne è guadagnato la fiducia con anni e anni di onorato servizio, con infinite apicellate a squarciagola, con pantagrueliche magnate e roccosiffrediane palpate in compagnia, si propone come intermediario, studiando insieme a Mora la forma migliore per spillare al riccastro i soldi.

Normale solidarietà tra sanguisughe? Tutt’altro, perché senza dire nulla al compagno di sangue sempre in berlusconese parlando – da buon giocatore d’azzardo Fede ricarica con fredda lucidità la cifra da chiedere a Berlusconi per conto di Mora, ben consapevole che la promessa di restituzione dei soldi di quest’ultimo è, per ammissione dello stesso, destinata ad essere disonorata:

Fede: «Lele, studiamo insieme… Gli dico: “Senti, ho visto Lele, non sta bene ed è preoccupato, forse credo che una mano bisognerebbe dargliela, hai fatto tanto bene a tanta gente, lui poi se lo merita più degli altri”».
Mora: «[ndr: mi raccomando, digli che] poi lui metterà in vendita due o tre cose e saprà come ritornare indietro tutto… Tanto poi campa cavallo che l’erba cresce…».
Fede: «Vuol dire che possono diventare uno e mezzo: io ne prendo quattro e tu otto, va bene?.
Mora: «Benissimo, meraviglia, meraviglia, bravo direttore, bravo».

Io, un amico così, non lo vorrei. Ma io vivo in un altro mondo, come la maggior parte di tutti voi.  Fossi in Berlusconi, a questo punto mi terrei stretto Dell’Utri. Sempre che anche lui non si riveli essere il prossimo traditore a penzolare giù dall’albero…

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