“Speriamo di portare questa rivoluzione oltre i confini della Tunisia, dall’Algeria all’Egitto e oltre il Maghreb, contro i regimi dittatoriali e per la democrazia”. Sihem Bensedrine, giornalista e dissidente tunisina, è convinta che la ‘rivolta del pane’ che ha riempito le piazze del suo Paese dal 17 dicembre scorso e ha fatto cadere il regime di Ben Ali sia stata soltanto la prima scintilla di una ribellione più estesa nel mondo arabo. Nata a Tunisi nel 1950, Bensedrine è un’attivista dei diritti umani e direttrice di Kalima, giornale online censurato in Tunisia.

Quale è la situazione per le strade di Tunisi?
Dopo un mese di lotta, i cittadini si sono organizzati e i giovani si sono mobilitati per il controllo del territorio contro gli scampoli armati della vecchia dittatura. Il popolo arresta anche i miliziani e li consegna alle forze di polizia e questo è un grande successo per noi. Significa che i civili riescono a coordinarsi e che l’esercito li protegge.

Come è stata accolta la fuga di Ben Ali dal Paese?
La gente voleva che lui e tutta la sua famiglia di corrotti e corruttori abbandonassero il Paese. Ne avevano avuto abbastanza. Non potevano più sopportare l’umiliazione, lo sfruttamento delle loro risorse.

E ora che succederà?
Intanto è stato istituito un governo di transizione. Mi auguro che dopo 60 giorni i cittadini possano riunirsi per decidere di formare una nuova Assemblea e riscrivere la Costituzione, un nuovo codice elettorale e nuove leggi. Tutto quello che abbiamo oggi sono normative che non hanno fatto altro che tenere in vita il regime. E alle prossime elezioni saranno candidati, se vorranno, anche i prigionieri politici, che sono stati rimessi in libertà.

Ala al-Aswani, uno dei più noti scrittori del mondo arabo, ritiene che quanto è accaduto sia stata solo la miccia per scatenare la reazione di altri paesi magrebini.
Ce lo auguriamo. Troppo spesso dobbiamo sentire politologi e intellettuali europei che ci ritengono immaturi per la democrazia. Sostengono che siamo un popolo culturalmente incline alla dittatura e ai regimi autoritari e non possiamo aspirare a governi partecipati. Tutto questo è sbagliato. Ne siamo capaci eccome, e senza ingerenze dall’esterno.

L’Egitto e l’Algeria saranno i prossimi a raccogliere il testimone della ribellione?
E’ probabile. Crediamo nell’esportazione del nostro modello perché siamo convinti che, senza dittature, i paesi arabi possano affacciarsi alla modernità e sviluppare migliori partnership con l’Europa. Molto meglio di quanto sia stato fatto finora. Per questo chiediamo ai potenti di parlare con chi è stato eletto dal popolo, non con i dittatori. E non dite che è da loro che vogliamo essere comandati.

Ci sono paesi europei che considerate vicini in questo momento?
Credo che nessuno ormai stia col vecchio regime. Persino la Francia, che era dalla sua parte fino a due giorni dalla caduta, ha raccolto il nostro invito a emarginare il despota.

Ci sono responsabilità di Parigi nella morte di molti civili?
Purtroppo sì. Di certo Sarkozy ha dato il via libera alla repressione nella notte tra sabato e domenica (8 e 9 gennaio, ndr), dove sono state uccise oltre 50 persone. Tutti i tunisini lo pensano. Ma ora siamo in una nuova era e abbiamo bisogno che la Francia rispetti la nostra nuova democrazia, che sia costruttiva e che non pensi al vecchio regime.

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