Cominciano a circolare i sondaggi elettorali: chissà perché… Una costante che emerge è che, a causa della presenza del terzo polo (Casini, Fini), il Parlamento avrà difficoltà ad esprimere una maggioranza stabile.
Uno dei motivi: non basterà la metà più uno dei seggi alle Camere, per governare, ce ne vorranno almeno una quindicina in più. Chi “vince le elezioni”, infatti, fa il governo ed elegge il presidente della Repubblica. Senza considerare gli altri incarichi, privati e pubblici, che i parlamentari tendono ad accumulare. Perciò tanti parlamentari della maggioranza saranno impegnati altrove, quando in Parlamento si decideranno le sorti delle proposte di legge e del governo.
Propongo una soluzione semplice: i membri del governo non siano scelti fra i parlamentari. Siano scelti, magari, fra le persone di alta competenza che il nostro Paese ancora esprime. Si applichi anche a loro il “criterio del merito” tanto sbandierato, e raramente applicato, dai partiti. Nel 2013 il nuovo presidente della Repubblica sia scelto fuori dal Parlamento: sarebbe un segnale al paese di apertura delle istituzioni, “un sussulto di dignità” della casta politica.
Nel 2007, invece, il governo Prodi fu privato di un voto fondamentale al Senato – quello di Napolitano – perché il centrosinistra semplicemente non concepiva l’idea che il presidente della Repubblica non fosse uno di loro. E, guarda caso, il centrodestra si trovò d’accordo sull’unico senatore inserito dal centrosinistra nella rosa dei candidati (gli altri erano tutti membri della Camera) all’alto scranno.
Pd, Idv, Sel, Fini e Casini devono tutti dimostrare di aver voglia di reagire con i fatti all’attacco del Pdl contro la nostra democrazia liberale (la Costituzione, la separazione dei poteri, il pluralismo televisivo, l’indipendenza delle autorità garanti, la legge contro la tortura che non c’è, la legge elettorale – porcata – che c’è ancora, l’autonomia della pubblica amministrazione… l’elenco delle questioni democratiche aperte è infinito!). Devono dimostrare che non intendono strumentalizzare la nostra preoccupazione per questa deriva gravissima, al solo fine di assicurare per sé stessi i privilegi esorbitanti che essa comporta.
La separazione fra potere esecutivo e potere legislativo è un ottimo modo per cominciare. Invece di subirla dalla realtà dei numeri, i partiti d’opposizione potrebbero fare propria l’idea dell’incompatibilità fra i loro parlamentari e il governo: primo passo di un’ampia serie di incompatibilità dei membri di assemblee elettive da promuovere e a tutti i livelli. Come avviene al Parlamento Europeo, in Francia e in altre democrazie di antico lignaggio.
Certo: per garantire una effettiva autonomia del Parlamento, controllore (non più “controllato” dal Governo, quindi “inutile”, secondo Berlusconi), ci vuole ben altro: una legge sulle preferenze o sulle primarie (che tolga ai capi partito il controllo assoluto sulla rielezione dei parlamentari in carica); una legge sui limiti alla spesa per le campagne elettorali (che aumenti le chances degli outsiders); alcune affermative actions per aiutare gli elettori a conoscere e valutare soprattutto i nuovi candidati); un minore accentramento dei finanziamenti ai partiti. Non è sufficiente, lo so, ma intanto cominciamo. Magari anche da qui, ma non dalle proposte di Veltrusconi, che speriamo definitivamente sepolte.
Più in generale, siamo in attesa di sapere dai partiti quali opere di manutenzione della nostra democrazia hanno in mente di svolgere, con quali tempi e priorità, in caso di successo elettorale.