Come interprete Ruby funziona: è disinvolta, diretta, efficace nel dosare le pause e gli attacchi di commozione mentre rievoca lo stupro che, secondo la sceneggiatura o secondo la realtà (in questo spettacolo le differenze ormai sono impalpabili), avrebbe subìto quando aveva nove anni. Esibirsi le piace, è dotata di quell’inclinazione teatrale che in scena spesso si trasforma in“presenza”. Per rievocare la ferocia del padre-orco che le avrebbe versato in testa una padella d’olio bollente scosta veloce la chioma lucente e mostra una chiazza priva di capelli. Il testo della rappresentazione è perfetto per assecondare vari filoni narrativi: l’abbandono del Paese musulmano ingiusto con le donne, la spontanea attrazione verso la fede cattolica, l’ira del padre marocchino per il tradimento religioso della figlia, le avventure da innocente ladruncola, la necessità di crearsi un mondo immaginario in cui sdoppiarsi per poter sopravvivere, raccontando bugie non solo sui genitori ma anche, guarda caso, sulla propria età. C’è di tutto nel suo racconto, un mix di Gretel, santa Teresa, Sherazade, Cosetta. Dopo questo superprovino Ruby può aspirare a diventare una presenza fissa in qualsiasi talk-show e in qualsiasi reality.
La regia di “Kalispera” la asseconda offrendole la giusta cornice per il debutto: usando luci basse ed intime, da confessionale, soffermandosi sulle lacrime purificatrici che scorrono lucenti sul suo viso, inquadrando le mani ingentilite da un anellino di fidanzamento. Piccoli particolari da sistemare nelle occasioni future: il trucco genere trans da allegerire, da sostituire anche la camicetta maculata un po’ troppo da pantera e le unghie intarsiate troppo da harem. Imbattibile però l’interlocutore che le fa da spalla. Con Alfonso Signorini che la intervista sul berlusconiano Canale 5 la neo interprete forma una coppia notevole. Il soave intervistatore nei momenti salienti butta lì domande magari a sproposito ma con una mimica facciale formidabile nel segnalare commozione, tristezza, sgomento di fronte alla narrazione di una piccola fiammiferaia in fuga da genitori colpevoli. La struttura del racconto segue uno schema antico: infanzia drammatica, errori lungo il percorso di crescita, riabilitazione con fidanzato probo e comprensivo e dissolvenza su un futuro di famiglia e pargoli.
Immaginiamo le teste chine di avvocati, addetti stampa, pseudogiornalisti intenti a modellare una storia avvincente per domare la platea televisiva e convincerla che la povera Ruby non è mai stata sfiorata dal presidente del Consiglio che l’ha aiutata sì ma solo perchè generoso e colmo di pietà. In alcuni passaggi gli sceneggiatori si sono fatti forse prendere la mano. Ruby afferma di non essersi mai, proprio mai prostituita, però una volta, ammette coraggiosamente, stava quasi per farlo, su consiglio di un’amica che l’aveva spedita in un albergo dove un cliente l’avrebbe ricompensata con mille euro. Lei si intrufola nell’ascensore dell’albergo più costoso di Milano, il Four Seasons, e chissà come sarà felice la direzione dell’hotel per una simile pubblicità, e bussa alla porta convenuta. Dentro la camera l’aspetta un uomo giovane, e meno male. Lei pur ritrosa arriva a spogliarsi restando in mutande e reggipetto. Il cliente sta per allungare le mani ma lei comincia ad urlare. Lui si blocca e commosso le chiede “allora è la prima volta ?” e subito all’innocente creatura regala i mille euro pattuiti raccomandandole da vero cliente-missionario di “non farlo mai più” . Il pubblico degli antichi varietà a questo punto si sarebbe scatenato. Ma non il pubblico assuefatto ad ogni soap-opera e al volto di Signorini di nuovo vistosamente turbato dal rischio che una purezza giovanile potesse essere violata. In scena, a testimoniare la definitiva redenzione, viene chiamato per un attimo, e meno male, un fidanzato che forse avrebbe dovuto restare nell’ombra.
Tutto si mescola, tutto si confonde, tutto viene umiliato in questa rappresentazione televisiva. L’importante è che tra fiction e realtà non ci sia più differenza. Si vede solo quello che si conosce scriveva Roland Barthes. Ma cosa conosce l’inerte spettatore della subcultura televisiva se non questi intrattenimenti travestiti da verità?