Tensione e incertezza. Le prospettive di miglioramento non mancano (si parla di “positiva dinamica di fondo”) ma nella mente degli analisti della Bce il binomio resta ben presente. Non è dato sapere, ovviamente, come si evolverà la situazione dei conti europei nel 2011. Ma proprio per questo, verrebbe da dire, sembra quanto mai necessario mantenere alto il livello di attenzione. E’ questo, pare di capire, il messaggio lanciato dall’istituto centrale europeo nel bollettino di gennaio. Un messaggio rivolto a Eurolandia tutta, certo, ma anche, in modo particolare, a qualche destinatario attento – almeno si spera – per il quale la famosa e famigerata“incertezza” si è trasformata da qualche tempo nella principale regola in campo finanziario e politico. Nelle ultime settimane, spiegano dalla Bce, le tensioni sul debito sovrano non si sono manifestate solo in Grecia, Irlanda e Portogallo, ma “anche in Spagna, Italia e Belgio”. Tradotto: l’effetto domino continua e rischi vengono di conseguenza. Ma andiamo con ordine.
I Paesi dell’area euro continuano finanziare massicciamente il proprio debito attraverso le aste obbligazionarie, un’operazione necessaria ma anche sempre più costosa. E’ vero che talvolta non sono mancati i ribassi, ma la tendenza di medio periodo è stata di segno opposto. Sul fronte derivati, rileva inoltre la Bce, il valore medio dei credit default swaps (che assicurando i debiti misurano anche il rischio bancarotta) sulle obbligazioni emesse nell’Europa occidentale supera di 20 punti quello degli stessi titoli costruiti sui bond delle nazioni orientali. Un dato curioso e significativo, visto che, è opportuno ricordarlo, proprio l’Europa dell’Est era stata il primo teatro della crisi dei conti quando, nel 2008, l’improvvisa contrazione dei crediti aveva messo in difficoltà gli istituti bancari alimentando una spirale inflazionistica sulle valute locali.
Proprio l’inflazione è diventata da tempo uno dei principali temi di interesse degli analisti del Continente. Secondo la Banca centrale nel 2011 il rialzo medio dei prezzi dovrebbe superare (per poi calare a fine anno) quota 2% ma le conseguenze che ne derivano non si faranno sentire allo stesso modo nei diversi mercati nazionali. Se è vero che il dato italiano replicherà più o meno la media europea, l’indice dei prezzi in Slovacchia mostrerà un incremento decisamente più contenuto (+0,6%) mentre la Grecia si collocherà all’estremo opposto (+4,7%). La varianza resta insomma significativa rendendo così difficile per l’Unione l’implementazione di una politica monetaria in grado di soddisfare chiunque.
L’inflazione, secondo logica, dovrebbe essere il prezzo da pagare per l’agognata crescita del Continente, un fenomeno tanto atteso proprio perché capace di dare ossigeno ai conti in rapporto al Pil, scaricando parte di quella tensione che si accumulata sui titoli pubblici. E qui le cose si complicano visto che le previsioni, soprattutto per le aree più critiche, non sono affatto incoraggianti. Prendete l’Irlanda. L’ultimo rapporto dell’Economic and Social Research Institute di Dublino ha abbassato le previsioni di crescita del Paese prospettando un incremento annuale del prodotto interno pari all’1,5% (contro il +2,25% che era stato ipotizzato in autunno). Siamo ancora sopra il livello stimato a novembre dalla Commissione Europea (+0,9) ma anche sotto la quota obiettivo fissata dal governo (+1,75). In altri termini, per raggiungere il traguardo auspicato, l’esecutivo dovrà imporre un risanamento dei conti ancora più ambizioso.
Quanto a noi, c’è poco di che gioire. L’ultima rilevazione della Banca d’Italia prevede per la Penisola una crescita contenuta allo 0,9% nel 2011 e all’1,1% nell’anno successivo. Una performance peggiore, quindi, rispetto a quella di Eurolandia (prevista quest’anno all’1,5%). Il dato, insomma, non tranquillizza ma è sul fronte del lavoro che si evidenziano le prospettive peggiori. Il livello medio delle retribuzioni salariali rallenta decisamente (appena +1,4% nei Paesi dell’euro durante l’ultimo trimestre contro il +1,9% dei tre mesi precedenti) con Italia e Germania in prima fila nel premere il piede sul freno. Peccato però che le situazioni pregresse siano estremamente differenti. Nella classifica per livelli salariali resa nota a maggio, l’Italia si piazzava al 23esimo posto tra i Paesi dell’Ocse (la Germania era 11esima) con un valore inferiore alla media per il 16,5%. In attesa che Sergio Marchionne mantenga le promesse – (“alzerò i salari, possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia” ha dichiarato ieri l’ad Fiat) i lavoratori italiani si preparano ad affrontare anche quest’anno le conseguenze della crisi. Pagandone il conto, s’intende, come nessun altro.