Il presidente della Camera Gianfranco Fini parla di “abito mentale” durante l’incontro sulla legalità organizzato a Reggio Calabria, nel palazzo che ospita il Consiglio regionale della Calabria. Lo stesso che, appena un mese fa, ha visto scattare le manette per un consigliere del Pdl intercettato e filmato a casa di un boss della ‘ndrangheta mentre cercava voti in cambio di appalti.
E del resto la terza carica dello Stato, oltre che leader di Fli, non le manda dire. E le sue parole hanno un doppio effetto: replicare alle accuse del premier che ha definito Futuro e Libertà il progetto “eversivo” del presidente della Camera per far cadere il governo e prendere le distanze dall’ex figlioccio Giuseppe Scopelliti, oggi governatore, che ha preferito restare sul carro del premier e infoltire la schiera dei berluscones duri e puri.
L’imbarazzo tra le prime file era palpabile. La sensazione è che la presenza di Scopelliti sia stata solo istituzionale. Tra i due niente di più che un saluto formale, lontano dai microfoni, prima di entrare nella sala “Calipari” di Palazzo Campanella. “La politica merita qualcosa di più di un dibattito che butta fango sulle istituzioni come quello a cui stiamo assistendo negli ultimi giorni – tuona Fini – . La lotta alla criminalità deve essere un motivo di unione, e questo non vuol dire sognare le ammucchiate. Nessuno può dire che, avendo vinto le elezioni, è al di sopra della legge”.
E sull’accusa di essere un eversivo: “Le ultime vicende ci fanno capire il perché nasce un nuovo soggetto politico. Futuro e Libertà è nato perché abbiamo verificato l’impossibilità di affrontare determinate questioni. Se crediamo in certi principi, bisogna avere il coraggio di dire che sono stati traditi. Il buon nome dell’Italia è venuto meno non per le inchieste, ma per i comportamenti. Quando si sostiene che Mangano è un eroe, si deve dire che non è vero. La lealtà è un valore, la complicità è una colpa. E in politica c’è anche un problema di opportunità”.
E qui il discorso intreccia a doppia mandata le polemiche nazionali con quelle calabresi e, in particolare, con quanto denunciato da Angela Napoli e Francesco Forgione durante l’ultima campagna elettorale per le regionali. I due parlamentari avevano lanciato l’allarme sulle liste sporche, in odor di mafia. Nessuno li ha ascoltati mentre l’abitazione del boss Giuseppe Pelle stava diventando n un santuario dove i candidati si recavano chini a implorare voti.
“Non è opportuno candidare alcuni personaggi così come non è opportuno nel momento in cui si è sottoposti a indagini particolarmente complesse e che gettano una luce particolarmente negativa, dire ‘non mi muovo’ o peggio ancora ‘non considero possibile essere sottoposto alla valutazione dei magistrati’ dimostrando altro che presunzione di innocenza, quella è una richiesta evidente di impunità”.
Le bacchettate di Fini raccolgono gli applausi di tutti tranne dei massimi esponenti della Regione. A loro, e a Berlusconi, ricorda: “L’idea di destra che abbiamo è profondamente diversa rispetto a una caricatura finalizzata affinché gli italiani non sappiano. Il primo atteggiamento mafioso è quello di chi dice: dammi il voto e in cambio vediamo cosa posso fare per te”.
Durissimo il monito del procuratore capo di Reggio Giuseppe Pignatone: “La ‘ndrangheta è forte non solo sul piano militare ma si nutre di una presenza pervasiva e gode di complicità e collusioni con ampie fasce sociali in un preciso calcolo di convenienza tale da condizionare la vita in questa regione. Le indagini si svolgono a 360 gradi senza pregiudizi di alcuna natura perché esse devono servire per celebrare processi e non per riempire pagine di giornale”.
La ricetta del presidente della Camera, per il quale “è venuto meno il senso dello Stato”, si trova in uno dei cassetti del Parlamento: “Riprendiamo la proposta di legge anticorruzione. La legalità è una precondizione della democrazia. L’Italia merita qualcosa di meglio di quel parlamento là”.
di Lucio Musolino