Ancora una volta, da personalità in vista (questa volta la Marcegaglia), arriva un giudizio positivo su una possibile leadership di Giulio Tremonti. E ancora una volta mi stupisco e rifiuto quest’idea.
Tremonti è un personaggio singolare che alterna, all’attività di fiscalista quando è all’opposizione, quella di ministro del Tesoro quando viene chiamato al Governo. Ama fraternizzare con gli amici della Lega tanto da farsi coinvolgere in goliardiche canzoni (“abbiamo un sogno nel cuore: bruciare il tricolore”) fuori frontiera sulle quali sarebbe necessario stendere un velo pietoso per un ministro della Repubblica. Il fatto di essersi seduto sulla cassapanca del Tesoro, senza averla mai abbandonata in questi mesi, gli ha fatto guadagnare diversi punti nella considerazione generale, tanto da far dimenticare i suoi disinvolti decreti a suon di scudi e condoni, fino a porlo come uno dei più accreditati candidati alla Presidenza del Consiglio, qualora Silvio volesse (o, meglio, dovesse) spostarsi da quella poltrona.
E se anche è vero che non sembrerebbero esserci troppe possibilità di vederlo in scandali sessuali come invece immaginiamo senza grossi sforzi l’attuale occupante, pro tempore, della presidenza del Consiglio, pure non mi sentirei sicura ad affidare il governo del Paese in mano a chi, ad incontri internazionali o sulle pagine di un quotidiano, continua a propagandare la necessità di modificare l’articolo 41 della Costituzione. Articolo che ha probabilmente la colpa di affermare:
L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Ecco, in un Paese in cui è tollerato un referendum imposto da una parte sola (quella della dirigenza) che comprime i diritti degli operai di un’azienda, in cui il caso Alitalia (con i 16mila licenziati riassunti con contratti individuali penalizzanti) è stato il precursore di una politica del ricatto sociale, in cui Licio Gelli (maestro, non dimentichiamo, anche di Silvio Berlusconi) consiglia nel piano di Rinascita Democratica (sic!) la “sollecitazione alla rottura” del fronte unitario dei sindacati, attentare alle norme che tutelano la sicurezza, la libertà e la dignità umana nell’ambito dell’impresa privata appaiono parte di un disegno miope o criminoso: in entrambi i casi non degno di un politico meritevole e adatto a ruoli di responsabilità (che comunque purtroppo già occupa).
Insomma, come scrive Mill nel suo saggio Sulla Libertà, “non voglio affermare che ci sia qualcosa di meglio da proporre, in una situazione di così basso livello come quella in cui oggi versa la mente umana. Ma ciò non toglie che il governo della mediocrità resti un governo mediocre.”
O meglio, io avrei da proporre: perché Tremonti, Berlusconi, Bossi e D’Alema sono lo specchio di una società. Ma non sono lo specchio della società migliore. Ci sono uomini e donne che da soli valgono molto più di tanti elementi che occupano ruoli istituzionali. Spetta a noi cittadini rivolgerci a quest’Italia.