Non è più questione di destra o sinistra. E nemmeno di laici o credenti. E nemmeno di progressisti o conservatori. Non c’entra nulla la politica economica del governo. E tanto meno le elucubrazioni politologiche su proporzionalismo o sistema uninominale. Non è questione di essere o meno d’accordo sulla riforma dell’Università. O su quella delle pensioni. Non c’entra nemmeno niente il fatto che si possa stare dalla parte di Marchionne o della Fiom (o nel mezzo). Non è questione di essere o no a favore della missione in Afghanistan… A ben vedere, è del tutto ininfluente se uno fa l’operaio o l’imprenditore, l’infermiere o il primario, lo studente o il professore. Non c’è differenza tra essere uomini o donne, etero o gay. Se uno è italiano da dieci o da una generazione. E nemmeno se è settentrionale o meridionale. E nemmeno se uno ha letto milioni di libri o se non sa nemmeno parlare. Non contano le differenze della politica. E nemmeno quelle antropologiche e psicologiche. E nemmeno quelle religiose: non conta se sei cattolico, ebreo o islamico. Non conta se sei ateo.
Quel che conta, invece, è il decoro di una nazione. Il suo buon nome. La sua onorabilità. Tutte cose minacciate dal comportamento pubblico del Don Rodrigo di Arcore. Dalle sue telefonate, dalle sue barzellette, dalle sue bugie, dai suoi servitori. Se l’Italia è un condominio in cui tutti abbiamo il diritto di vivere rispettando e rispettandoci è arrivato il momento di comportarsi come l’amministratore dell’Olgettina che ha deciso di sfrattare le ragazze del bunga bunga. Questione di decoro, appunto. Nulla di più. Ma nemmeno nulla di meno. Questione di un patriottismo minimo e discreto che ci impone di dire, tutti insieme, la parola fine a una storia durata davvero troppo a lungo.