Dopo gli exploit sul piccolo schermo di Santanchè e Sgarbi, e le telefonate del premier a Ballarò e l'Infedele, il politologo Roberto Chiarini e il docente di comunicazione Francesco Siliato spiegano la tecnica del presidente del Consiglio per fronteggiare lo scandalo Ruby: "Spostare l'attenzione sull'evento per confondere gli argomenti"
“Aggressività per svalorizzare l’avversario”, “eventi mediatici per spingere a parlar d’altro”. È questa secondo politologi e massmediologi la strategia di comunicazione televisiva impartita da Silvio Berlusconi ai suoi uomini per fronteggiare lo scandalo Ruby. Ed ecco che nei salotti televisivi, al fianco dei videomessaggi del premier, fanno il loro ritorno personaggi incendiari del calibro di Vittorio Sgarbi e di Daniela Santanché. Oltre allo stesso Berlusconi che per il momento partecipa alle dirette solo in collegamento telefonico, come ieri all’Infedele, quando il presidente del consiglio ha definito il programma di Gad Lerner, reo di affrontare nel suo salotto il tema del caso Ruby, un “incredibile postribolo televisivo”.
Ma la telefonata è solo l’ultima delle incursioni delle truppe berlusconiane da quando, lo scorso 15 gennaio, si è diffusa la notizia delle indagini per prostituzione minorile e concussione a carico del presidente del consiglio. All’Ultima parola, il programma di Gianluigi Paragone in onda il venerdì su Rai Due, Vittorio Sgarbi ha letteralmente coperto d’insulti Peter Gomez: al grido di “mafioso, sei solo un mafioso”. Per non parlare di Daniela Santanché e dei suoi plateali abbandoni: prima di Agorà, la striscia quotidiana del mattino di Rai Tre condotta da Andrea Vianello, se ne era andata anche da Annozero di Michele Santoro. In mezzo non va dimenticato il fallito blitz telefonico del premier durante l’ultima puntata di Ballarò. Giovanni Floris però non è caduto nella trappola e non ha passato la telefonata alla regia.
“La strategia di Berlusconi è chiara – dice il politogo Roberto Chiarini – Ed è quella di dare una scossa al suo elettorato che è rimasto tramortito dalle ultime vicende”.
Un’opinione condivisa anche da un altro maître à penser della comunicazione politica, Francesco Siliato. “L’obiettivo di questa campagna televisiva è svalorizzare le tesi degli avversari – afferma il docente di Sociologia, Cultura dei Media – in modo sia diretto che indiretto. Direttamente, nel non fare parlare l’avversario, rifiutando la relazione con lui, marchiandolo come colui che non sa stare con l’ospite. E indirettamente, perché quando il premier telefona in trasmissione, oppure quando Santanché si alza e se ne va, l’attenzione dello spettatore cresce, e viene spostata sui soggetti dell’azione. Si crea così un mini evento mediatico che catalizza l’attenzione dello spettatore”.
Per Siliato il meccanismo è collaudato, e indipendentemente dall’argomento di cui si parla può contare sulla compiacenza dei media: “La strategia – dice – è possibile solo grazie alla sudditanza dei media di fronte agli interventi del potere”. Una sudditanza che c’è sempre stata, ma che mai come in questo caso “sposta gli argomenti di conversazione da bar, da ufficio”. In questo modo, il premier è sempre in grado di “creare l’agenda pubblica”. Insomma, se fino a ieri si parlava di Ruby e del caso giudiziario che coinvolge il premier, oggi si parla di dito medio alzato (Santanchè), fughe dagli schermi (ancora Santanché), insulti a profusione (Sgarbi) e di “postriboli mediatici” (Berlusconi).
I due esperti sono d’accordo anche sugli obiettivi di questa strategia a partire da una constatazione: nel quadro attuale è difficile che il premier accumuli nuovi consensi. “Semmai – spiega Siliato – l’intento è la conservazione del grado di consenso già ottenuto”, anche se a prezzo di una radicalizzazione delle posizioni politiche. Gli fa eco Chiarini che dice: “Il premier sta chiamando in trincea i suoi sostenitori cercando di rincuorare i più arditi”. In compenso, la strategia tradisce la “debolezza del capo, “costretto a intervenire in prima persona per dire: ‘Sappiate che sono qui, che sono tosto’”.
Sembrano passati anni luce da quando B., di fronte al crescente consenso ottenuto dagli esponenti di Futuro e libertà, decise di rinnovare radicalmente la pattuglia dei suoi portavoce nelle trasmissioni televisive. Al posto degli ormai sovraesposti Sandro Bondi, Ignazio La Russa, Niccolò Ghedini e Maurizio Gasparri, il premier affidò il piccolo schermo a personaggi come Maurizio Lupi, volto rassicurante del cattolicesimo del Nord e Alfredo Mantovano e alla sua credibilità da ex magistrato. Con qualche new entry: dalla deputata campana Nunzia di Girolamo ad Angelino Alfano, ministro della Giustizia e da molti indicato come successore in pectore di Berlusconi.
“All’epoca dello scontro con i finiani, il presidente del consiglio era alla ricerca di figure e linguaggi in grado di tamponare l’emorragia verso il centro innestata dalle prese di posizione del presidente della Camera”, dice Chiarini. Ed ecco che nei salotti televisivi a rappresentare il berlusconismo erano gli esponenti più moderati del Popolo della libertà.
Oggi il frame è completamente diverso e la pacatezza e propensione al dialogo dei Lupi e dei Mantovano ha lasciato il posto alle performance pirotecniche di Santanché e Sgarbi.
Una strategia che funziona solo in tempi di crisi. Del resto, presidiare i media, per B. diventa quasi obbligatorio se si considera l’attenzione che il caso Ruby sta raccogliendo. Ieri sera, ad esempio, la puntata dell’Infedele ha raccolto un milione e ottocentomila spettatori, più o meno il doppio del normale.