Sapete che non mi occupo molto degli affari italiani, ma ieri sera sono andata nella redazione di un quotidiano. Non ho cambiato idea, tutt’altro, ho fatto solo alcune considerazioni, alcuni paragoni fra i politici di un paese sfigato dell’Asia, il Nepal, e i nostri.
Arrivavano fax di conti bancari (è illegale? No, davvero??), partivano telefonate a escort con aspirazioni o ispirazioni arcoriane, si leggevano le informazioni e si guardavano i video di belle signorine discinte – tutte simili, tra l’altro: visi perfetti corredati di sorrisi ammiccanti e occhi lascivi, cascate di capelli lunghi e tinti, tette enormi e così rifatte che l’odore di silicone, o quello che è, usciva fuori dal monitor. Insomma, non è che mi scandalizzi più tanto dei fatti di questa nostra repubblica, ma un paragone l’ho fatto, lo ammetto. E non ne siamo usciti vincenti.
Il Nepal, si sa, è un paese bellissimo e jellato. Oltre un secolo di regime monarchico autoritario, con un re desautorato dei suoi poteri e dove a comandare era il primo ministro ereditario, che teneva il paese in una situazione feudale; poi la rivoluzione del 1951 che ha deposto il premier, ma non del tutto la sua casta, ancora ricca e potente; il 1 giugno 2001 re Birendra ucciso dal figlio, insieme alla moglie e 9 membri della sua famiglia, la rivolta del movimento maoista che comincia dal 1996 e re Gyanendra, il successore, che il 1 febbraio 2005 instaura un regime dittatoriale con la scusa di far fronte ai maoisti. La guerra civile insanguina il paese fino alla rivoluzione del 2006, quando poi viene ristabilito il parlamento e viene eletto un governo maoista (per quanto ci sarebbe da dire sul maoismo di questi maoisti).
Ora il Nepal è diventata una repubblica democratica federale, laica – prima era l’unico paese induista al mondo – dove le minoranze sono tutelate e così via. Oltre alle etnie e alle caste svantaggiate, pure i transessuali hanno i loro diritti riconosciuti costituzionalmente, i figli di prostitute ecc., tutta una categoria di persone che prima erano cittadini di serie Z.
Eppure, il Nepal a livello economico versa in condizioni disastrose, con una percentuale di disoccupazione del 46% che lo colloca al 192° posto del mondo, secondo l’ultimo rapporto della Cia che vede in Italia solo il 7.80% di disoccupazione nel 2008. I partiti stanno redigendo la Costituzione definitiva, ma hanno rimandato la pubblicazione dei risultati dei lavori già due volte in due anni. I maoisti, che hanno ottenuto la maggioranza relativa dei voti nelle prime elezioni libere, non sono in grado di formare un governo di alleanza politicamente forte e la lotta fra loro e il secondo partito del paese, il Nepali Congress, di fatto blocca le riforme e addirittura l’elezione di un primo ministro. Che al momento non c’è: non c’è la Costituzione definitiva, non c’è un primo ministro.
Eppure il Nepal è molto meglio dell’Italia. La batte decisamente – e non perché non ci siano accuse di lussi verso i maoisti. Non di corruzione, come con i politici di prima, ma di lussi e piaceri (in fondo, dopo tanti anni di fame e di isolamento politico e logistico, la gente ora vuole vivere bene, anche i vertici di un partito maoista). Cose considerate inappropriate da un partito che si dichiara maoista. Ma il Nepal batte l’Italia con una vittoria piena quanto a senso di responsabilità e moralità da parte dei politici, anche quelli di uno dei partiti più combattivi del mondo, i maoisti, che nel 1996 hanno dichiarato la guerra al re e al suo esercito, per intenderci, e scatenato la guerra civile.
L’ex primo ministro Pushpa Kamal Dahal, l’ex compagno Prachanda, il primo presidente del Consiglio della storia del Nepal democratico e ora segretario dell’Unified Communist Party of Nepal (Maoist), nel maggio 2009 si è dimesso dopo aver tentato senza successo di imporre il reintegro degli ex combattenti dell’esercito maoista nelle fila dell’esercito regolare. Il motivo è stato il tentativo di Prachanda di far dimettere il generale Rookmangud Katawal, capo di stato maggiore dell’esercito, che aveva rifiutato di integrare gli ex combattenti.
Il presidente della repubblica, Ram Baran Yadav, ha dichiarato l’atto incostituzionale e Prachanda, anche se ha dichiarato l’intromissione di Ram Baran incostituzionale (il che è vero), ha dato le dimissioni per proteggere la democrazia e il processo di pace, come ha dichiarato in un discorso televisivo lui stesso. Quanti politici italiani farebbero lo stesso?
Alla fine dello stesso mese è stato nominato primo ministro Madhav Kumar Nepal, del Communist Party of Nepal (Unified Marxist-Leninist), che si è messo alla testa di un governo di coalizione. Nepal è rimasto in carica per poco più di un anno, fino al 30 giugno 2010, per l’opposizione dei maoisti, che ovviamente vogliono un governo a maggioranza maoista con un premier maoista. Anche lui però si è dimesso per non far cadere il paese in un impasse politica lesiva agli interessi di tutti e ora governa un governo di coalizione provvisorio senza essere formalmente primo ministro. Il dibattito politico e costituzionale continua e il paese non si è bloccato. Ripeto: quanti politici italiani lo farebbero?
Ora, io non voglio fare morale e moralismi né, ovviamente, mi permetto di dare consigli ad alcuno, tantomeno al nostro presidente del Consiglio, eletto senza dubbio dalla maggioranza degli italiani, ma mi sembra che in Italia i media e i dibattiti ruotino tutti intorno alle escort amiche di Berlusconi e che, escort o no, una buona parte del governo, oltre che degli italiani, vorrebbe che il primo ministro si facesse da parte (nonostante l’ultimo voto di fiducia, che è stato abbondantemente “negoziato”, mi pare: e poi dicono dei mercanteggi in Asia).
Insomma, Berlusconi ha stancato molti molti molti, la storia dei suoi festini e le sue vicende erotico-sentimentali stanno monopolizzando il paese, impegnato im inchieste, investigazioni e dibattiti anche sui media. Ma non potrebbe prendere esempio dai politici di un paese che è stato spesso indicato come simbolo di arretratezza politica ed economica, di feudalesimo strutturale e così via? Non potrebbe dimettersi, lasciare il suo posticino, tanto di soldi e di potere ne ha già più che abbastanza, e ridare aria e fiato all’Italia, che magari si potrebbe occupare di qualcos’altro oltre che delle sue signorine?
L’Italia ripartirebbe e forse, dico forse, riusciremmo anche, col tempo, a ricostruire una credibilità politica internazionale. Almeno per non perdere anche con il Nepal sul terreno da gioco della democrazia.