Quando stasera Barack Obama pronuncerà il suo discorso sullo stato dell’Unione, davanti al Congresso e sugli schermi televisivi d’America, inizierà la campagna elettorale per le presidenziali del 2012. Non solo, sapremo soprattutto quali saranno temi e fisionomia politica dei due anni che porterà nuove elezioni per la Casa Bianca. Alcune anticipazioni già ci sono. Barack Obama parlerà di economia, di creazione di posti di lavoro, di investimenti e della necessità di “scommettere sul futuro dell’America”. L’obiettivo è chiaro: modificare l’immagine che molti americani hanno di lui – quella di un liberal votato allo Stato sociale – per trasformarsi in un centrista pragmatico, con venature progressiste.
Il discorso sullo stato dell’Unione è il messaggio tradizionale che il presidente degli Stati Uniti rivolge al Paese, ricapitolando le cose fatte e anticipando quelle da fare. Per quello di stasera (alle 21 ora americana, le 3 del mattino in Italia), Obama ha scelto un titolo significativo: “Vincere il futuro”. La sua scommessa è trovare un equilibrio tra sviluppo e tagli alla spesa, tra nuovi investimenti e responsabilità fiscale. Poco prima del suo discorso, i repubblicani della Camera terranno un voto, in gran parte simbolico, impegnandosi per tagli drastici e imprecisati alla spesa federale (almeno il 20% del bilancio nei prossimi 10 anni). Secondo le anticipazioni fatte filtrare dalla Casa Bianca, Obama cercherà di rigettare proprio questa visione riduttiva, pessimistica, implosiva dell’economia e della società americana.
Per Obama, presidente salito al potere in una fase di profonda crisi del “sistema America”, i segnali di ripresa ci sono e vanno colti. La disoccupazione resta alta, sopra il 9%, ma nell’ultimo anno sono stati recuperati più di un milione di posti di lavoro. Secondo molti analisti, l’economia americana ne recupererà il doppio nei prossimi 12 mesi. “Un’opportunità che non dobbiamo perdere”, dirà Obama stasera, rilanciando una politica di investimenti in almeno tre settori: educazione, innovazione, infrastrutture. “Cina, Germania India non perdono tempo nel rimodernare le loro economie”, aveva detto Obama nel discorso sullo stato dell’Unione dell’anno scorso. “Il mio obiettivo primario – dirà Obama quest’anno – è far sì che l’America sia competitiva, e che noi si riesca a creare posti di lavoro non solo nell’immediato, ma soprattutto nel futuro”.
Il presidente ha del resto bisogno di rilanciare l’immagine di un politico dinamico, aperto alle esigenze del grande business. Sinora la sua principale conquista politica – la riforma sanitaria – lo ha fissato nell’immaginario collettivo come un liberal sensibile alle conquiste del Welfare (ma per metà d’America, quella repubblicana, è uno spendaccione assistenzialista). Per aumentare i consensi in vista delle presidenziali 2012, Obama vuole recuperare il voto degli indipendenti, dei moderati, del grande business che negli ultimi mesi gli ha voltato le spalle.
Tutte le sue ultime mosse sono andate in questa direzione: i tagli alle tasse, confermati per i redditi superiori ai 250 mila dollari; la nomina del banchiere William Daley a suo capo staff; quella del CEO di General Electric, Jeffrey Immelt, alla guida dello staff di consulenti economici della Casa Bianca. L’enfasi sui temi dell’espansione economica, del lavoro, degli investimenti (ma anche della necessaria riduzione della voragine del debito federale, che ha toccato la cifra record di 14 mila miliardi di dollari), è proprio il ramo d’ulivo che Obama porge ai settori più centristi dell’elettorato americano.
Ci sarà ovviamente altro nel discorso di stasera: la guerra incerta in Afghanistan; la sicurezza contro il terrorismo; forse la questione di maggior controlli nella vendita delle armi (alcune vittime del massacro di Tucson siederanno accanto a Michelle Obama sugli spalti). Ma il cuore delle parole del presidente starà lì, nel tentativo di offrire all’America ancora convalescente un’immagine di futuro, una via d’uscita alla crisi. L’uomo eletto alla Casa Bianca sulla spinta di un moto di speranza globale si trova dunque a gestire i suoi ultimi due anni di presidenza su una base esclusivamente nazionale. Un po’ per conservare la poltrona. Un po’ perché la realtà si è dimostrata più dura, complicata, imprendibile del sogno promesso.
di Roberto Festa