Berlusconi scende in piazza contro i giudici. Il potere esecutivo protesta contro il potere giudiziario cercando il consenso del popolo e dal popolo. Un classico di alcuni regimi sudamericani degli anni ’70. Questa analisi è una delle più ricorrenti in commento alla decisione del premier di tornare in Piazza Duomo, il 13 febbraio, per una grande manifestazione passata abbastanza sotto silenzio quest’oggi se pensiamo alla portata eversiva del suo significato.
E così mi sono ritrovato a pensare al Sud America. Non a quello contemporaneo, oggi molto più spostato a sinistra, diviso tra grandi potenze emergenti e dittature non troppo diverse da quelle del secolo scorso, ma a quello delle soap opera. Sì, ho pensato a Grecia Colmenares e Jorge Martinez, i protagonisti di memorabili telenovelas come “Manuela”, “Topazio” e “Ti chiedo perdono”, a lungo nei palinsesti di Rete4 degli anni ’80 e ‘90.
Berlusconi non poteva certamente saperlo a suo tempo, ma è proprio la bionda Grecia (e non quella che sta per fallire) a essere oggi una delle più fedeli alleate di Berlusconi.
Perché alle domande poste da molti analisti stranieri (e anche da molti di noi) sull’assenza di reazione dell’opinione pubblica italiana ai ripetuti scandali che riguardano i nostri rappresentanti istituzionali, io sento di rispondere che la chiave di volta è che l’Italia ha gli occhi dentro le soap opera. Che siano italiane o d’importazione, reality show o gossip, vere o costruite, poco importa: siamo dipendenti dal racconto ciclico, dal colpo di scena, dall’amore, dal tradimento, dal sottobosco, dal retroscena. In estate c’è un grande amore da spiaggia o un Lucignolo che sbircia nelle discoteche. In autunno si verifica la tenuta delle storie estive e si aspetta il tradimento. In inverno c’è un Grande Fratello o un tronista a far parlare di sè. In primavera c’è un Reale che si sposa o qualcuno che divorzia, anche perché l’estate è alle porte.
Forse per caso, forse no, Berlusconi e le sue televisioni hanno sedimentato il substrato culturale su cui poi è stato possibile costruire la serie più avvincente: la sua. Alla maggioranza degli italiani, diciamoci la verità, non frega assolutamente niente delle implicazioni morali, politiche e simboliche delle feste di Arcore. Quasi tutti vogliono solo sapere come andrà a finire. Quante sono le pagine di intercettazioni. Se riuscirà a farla franca oppure no.
E restano a guardare come se non fossero loro i protagonisti di questa gigantesca opera teatrale chiamata Italia; sono fermi da anni, seduti, in silenzio, magari mugugnano ma nulla più. E comprano pop corn aspettando il prossimo botto a sorpresa.
Sui titoli di coda, forse, inizieranno a guardarsi intorno e si confronteranno col vicino, con l’amico, di ciò che è stata l’Italia della Seconda Repubblica. E forse, dopo ancora, si renderanno conto che non basta spegnere la tv o uscire dal teatro, ma che questa infinita telenovela ha lasciato strascichi nella nostra vita, in quella dei nostri figli, delle persone a cui vogliamo bene, nel nostro futuro e anche nel nostro passato.
Ma ora lasciateci seguire in pace i prossimi sviluppi. Giudici comunisti, italiani moralisti e blogger fissati con Berlusconi, un po’ di silenzio in sala, per cortesia.