Nina Burleigh, in un articolo pubblicato dal Washington Post (uno dei tanti che la stampa straniera in questi giorni dedica alle vicende del nostro paese) si riferisce al premier Berlusconi con il “nome d’arte” usato, in maniera meno negativa, per il più famoso pugile hollywoodiano Rocky Balboa, interpretato da Sylvester Stallone.

Ciò che trovo particolarmente interessante nell’analisi della Burleigh è l’amaro resoconto che lei fa delle donne italiane e della loro “complicità” nelle vicende del neo imperatore romano d’Arcore. Scrive la giornalista “l’attitudine del presidente nei confronti delle donne è la versione ufficiale di ciò che è la norma in Italia, paese classificato al 74mo posto, su 134, nell’indice globale dell’eguaglianza di genere, stilato dal World Economic Forum del 2010”. Tanto per capire la drammaticità della nostra situazione, va notato che l’Italia segue nazioni come il Kazakhstan e il Ghana. La Burleigh, citando l’esempio della signora Mara Carfagna e della squadra di veline candidate alle elezioni europee dal Pdl, sottolinea come la visione berlusconiana del genere femminile corrisponda, al 100%, con quella di colui che in America viene definito lo “sugar daddy”, che ripaga abbondantemente i piaceri offerti delle sue “favorite”.

E tanto per fare luce sull’allegra combriccola di “amici” su cui il presidente può contare per una difesa anche contro l’indifendibile, la giornalista riporta, virgolettate, le parole di un’intervista rilasciata da Vittorio Sgarbi a Radio 24 in cui il sempre pacato “critico d’arte” afferma che “avere un appetito sessuale normale non è scioccante. Non capisco perché Berlusconi neghi questo fatto. Credo che il sesso ci faccia sentire meglio. Chi fa l’amore governa meglio. Il sesso, guarisce. Kennedy è il modello di Berlusconi. Non Obama o Clinton. Kennedy aveva una ragazza al giorno ed è stato il presidente di tutti i tempi, quasi un santo. Berlusconi rappresenta l’Italia che abbraccia il sesso”. Senza neppure un commento a tale dichiarazione che in se stessa racchiude tutto lo scempio di chi, giullare di corte, continua a difendere il suo “signore”, la Burleigh evidenzia come in Italia sia ormai acclarata l’illusione che gli uomini di potere possano “usare” le donne a loro piacimento senza subire alcuna conseguenza.

Con il plauso dei più, aggiungerei io.

L’analisi del Washington Post mi ha colpito particolarmente perché rappresenta la condizione della donna italiana in maniera esemplare e terrificante. Non riesco a immaginare quanti anni e quali azioni ci vorranno affinché a noi donne sia consentito riacquistare la nostra dignità di genere e riconquistare un posto nel mercato del lavoro e del “potere” che sia completamente sganciato dall’apparenza fisica.

Ciò che vorrei aggiungere al pensiero della Burleigh, e che mi rende ancor più triste e preoccupata, è che Berlusconi e i suoi cortigiani hanno sicuramente amplificato una visione machista, sessista e volgare che ha raggiunto livelli intollerabili. Ma non l’hanno inventata. Esisteva prima e esisteva anche a sinistra. La mercificazione del corpo femminile è un cancro che il nostro paese non riesce a curare perché lo scambia per una medaglia al merito.

Il silenzio delle donne, molte solo ora timidamente iniziano a farsi sentire, è la prova più devastante di un sistema che trova proprio nel genere femminile la massima complicità.

Faccio un esempio piccolo. In America è proibito inserire, negli annunci di lavoro, la parola “bella presenza” o un limite d’età. Un curriculum non deve assolutamente contenere alcun riferimento all’età, alla nazionalità o allo stato civile. Un curriculum in America, per uomini e donne, deve contenere solo ed esclusivamente informazioni relative alle competenze richieste.

E che non si praticano sotto le scrivanie. Ma guardandosi in faccia. Da pari.

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