Il gruppo che andiamo oggi a conoscere proviene da Caserta, è un duo femminile composto da Valentina Zona (vocals, keyboards, effect) e Giusy Pascarella (guitar, effects, back vocals), formatosi nel 2005 dapprima in versione acustica, in seguito dopo diversi cambi di formazione, approdato verso uno stile noir dalle sonorità indie e dalle marcate influenze di una PJ Harvey infuriata: loro sono le Secretaries.
Nel 2010 hanno esordito con l’ep Before The A, un disco autoprodotto composto da cinque canzoni dal suono dolce, con atmosfere lugubri, a tratti sorprendentemente aggressivo. Il nome The Secretaries deriva dal titolo di un film, Secretary (2002) di Steven Shainberg: pellicola sul sadomasochismo, è la storia di una segretaria autolesionista nel corpo per soffrire meno nella psiche. Il disco non poteva che aprirsi con Bondage, termine con cui si indicano un insieme di attività sessuali basate sulle costrizioni fisiche realizzate con legature, continuando con Dead Punk Walking. Le successive Hush me up e Heart and soul poi rischiarano il lato dark delle Secretaries. Chiude l’album Lost, caratterizzata da un incedere distorto della batteria e poche note di piano che creano un’atmosfera inquietantemente sospesa fino al culmine finale.
Siamo andati a conoscerle meglio intervistandole per Il Fatto Quotidiano.
Mi parlereste di voi e della realtà che vivete, come la vivete e cosa vuol dire essere musiciste nella vostra terra e in Italia in generale?
Ci siamo conosciute nel 2005 grazie alla comune passione per PJ Harvey, e nello stesso anno abbiamo cominciato a suonare insieme. Tanto per cominciare, è nata l’esigenza di scrivere pezzi nostri; poi abbiamo cercato altre persone con cui suonare, perché avevamo bisogno di uscire fuori e per esibirci occorreva una buona sezione ritmica; l’abbiamo trovata e abbiamo fondato un gruppo che è durato quasi tre anni. E’ stata un’esperienza molto importante, perché in quel periodo abbiamo avuto la possibilità di suonare tantissimo e acquisire una certa dimestichezza con la dimensione live. Nel 2008 abbiamo deciso di tornare al duo originario: tirava aria di cambiamento, e dovevamo assecondare quel nuovo bisogno.
E’ difficile fare musica qui, nella remota provincia campana; ma probabilmente è difficile un po’ ovunque. Il nostro è un atteggiamento piuttosto disincantato: abbiamo preso atto dello sfacelo in cui versa la discografia italiana, per non parlare dell’enorme difficoltà di arrivare al “pubblico”. Analizzare sinteticamente la situazione è pressoché impossibile. E’ una questione di retaggio culturale: il musicista non viene considerato alla stregua di qualsiasi altro “lavoratore”, perché il lavoro è “’a fatica” e implica appunto sforzo, insoddisfazione, subordinazione, raramente finalizzati all’espressione della propria indole… L’estro creativo dà sostentamento a pochi privilegiati, soprattutto nella musica indipendente, la musica cosiddetta alternativa, quella che non si compiace affatto di essere per pochi ma di fatto lo è, quella che non va certo a finire nelle classifiche di TV Sorrisi e Canzoni, per intenderci (ma neanche su Rolling Stone, se è per questo). L’Italia è un Paese culturalmente immiserito, chi vorrebbe vivere di arte non può vivere qui. A meno che le cose non cambino sul serio.
Come mai la scelta indie-sperimentale?
Non è stata propriamente una scelta; abbiamo semplicemente fatto quello che sappiamo fare. E quello che sappiamo fare, per mera semplificazione, lo chiamiamo così. Che vuol dire tutto e niente.
Qual è il vostro “background” artistico e musicale? C’è qualche artista in particolare a cui vi ispirate e perché?
Siamo cresciute a cavallo degli anni ’80 e soprattutto ’90, quindi l’influenza del grunge è imprescindibile. Tuttavia, dobbiamo la nascita del nostro sodalizio umano prim’ancora che musicale alla già citata PJ Harvey: un’artista versatile, polistrumentista, che si è cimentata con i generi più disparati apportando il suo contributo personalissimo ed evolvendosi sempre, pur conservando una rara coerenza disco dopo disco.
Riguardo all’approccio tecnico con la musica, abbiamo cominciato entrambe da autodidatte. Personalmente, da circa due anni ho iniziato a prendere lezioni di chitarra.
Siete soddisfatte della vostra attività, di quel che avete fatto fino ad ora?
Abbiamo ancora tanto lavoro da fare, eppure la risposta a oggi è positiva. L’espressione musicale è innanzitutto la nobilitazione della nostra amicizia: prima di conoscerci non avremmo mai pensato di imbracciare uno strumento, incidere, suonare dal vivo e proporre la nostra musica, proporci come musiciste… Incontrarci ha significato anche far diventare questa cosa possibile, concreta.
Quanto è importante internet per voi in ambito artistico?
Indispensabile ma non fondamentale:abbiamo cominciato con il Myspace che tuttora rimane il nostro punto di riferimento, e la promozione dell’ep si è svolta soprattutto online. Lo stesso dicasi per la ricerca dei posti in cui suonare: li contattiamo quasi sempre via mail, accorciando i tempi e le distanze, ma senza avremmo fatto comunque, solo diversamente: la rete non è sempre esistita.
Siete alla ricerca di un’etichetta? Credete di poter avere chances di avercela?
Positiva risposta ad entrambi i quesiti, purché dietro l’etichetta ci siano addetti ai lavori che credano nella nostra musica, nella sua validità e nella nostra possibilità di crescita, investendo in essa assieme a noi in tempi difficili e controversi, soprattutto per il settore musicale! Va detto che abbiamo sperato di “fare colpo” su qualche etichetta indipendente italiana: ce ne sono alcune piuttosto attive. L’abbiamo fatto, più che altro, per provare ad uscire dagli angusti confini di Caserta e Napoli, in cui finora ci siamo mosse. Per ora non abbiamo ricevuto risposte; nel frattempo alimentiamo la vocazione europea spedendo anche fuori. Hai visto mai?
Alle Secretaries, autrici di un album decisamente convincente, Before the A, non resta che fare i migliori auguri. Per chi volesse approfondire la loro conoscenza può recarsi sul loro Myspace.