Anche le rivoluzioni oggi sembrano macchinazioni dell’irrealtà. È questa una delle tante cose che mi è venuta in mente osservando le immagini dal Cairo che rimbalzano in questi giorni in Tv; il presidio di piazza Tahrir, le porte aperte delle prigioni di Tora e Abou Zaabal, le vetrine sfondate del Museo Egizio, i bivacchi e le tende all’ombra dei carri armati, i campi di strada allestiti dalla gente normale d’Egitto, persone solo un po’ più affamate di libertà di quanto non lo siano tanti altri popoli oppressi sulla Terra.

Ti accorgi che da qualche parte nel Medio Oriente c’è una rivoluzione perché leggi i dispacci che arrivano su Twitter regolarmente fino al 27 gennaio, poi ti rendi conto che quelle notizie non arrivano più, ma sai che non significa che la rivoluzione è finita. Lo apprendi dai giornali, il governo egiziano ha stabilito l’umiliante primato di essere il primo paese al mondo ad aver effettuato la chiusura completa della rete internet per motivi di ordine pubblico. Molto più di quanto abbiano fatto in passato paesi come la Cina, o l’Iran di Ahmadinejad durante la Rivoluzione verde. È attraverso una strana forma di silenzio che la rivoluzione entra ed esce da casa tua, il silenzio dei famosi 140 caratteri del microblogging più famoso del mondo. La riflessione che fai è che alla Tv l’informazione passa come uno show, attraverso i social network invece tocchi la realtà con mano, è questo il motivo per cui oggi, al dittatore di turno, internet fa più paura di ogni altro mezzo d’informazione.

Forse anche il ministro degli esteri Frattini la pensa come me, se è vero che il 29 gennaio, in pieno blackout, con il Cairo in fiamme e centinaia di cittadini italiani in precipitosa fuga dall’Egitto, si trovava sulle nevi del Monte Cimone, nel modenese, a rispondere alle domande dei giornalisti di Studio Aperto, che naturalmente non riguardavano la situazione del Cairo, bensì la qualità del manto nevoso. “Bella neve. Cinque centimetri di neve fresca, perfetta”, questo il commento del ministro ripreso con gli sci ai piedi e una vistosa tuta rossa. Forse anche Frattini seguiva l’evolversi della rivolta egiziana attraverso la sua pagina di Facebook, tra un piatto di tortellini e bollito e un bicchiere di Sassolino (il liquore tipico di Sassuolo) di cui il ministro si dice grande estimatore. Perché dunque annoiarsi nel grigiore degli uffici della Farnesina?

Un poeta egiziano, Hassan Teleb, in una poesia intitolata Che caduta malvagia!, ha scritto: “Ti voglio dettare / L’essenza della mia tragedia / So che la parola è debole / Che la poesia resiste / Ma cercherò / E chissà! / Magari potrei riuscire, / Se mi aiutassero gli angeli della poesia”. Teleb non parlava di Twitter, ma di un uomo che si oppone alla dittatura finché le guardie del potere non lo accecano e gli rompono le gambe, né tantomeno il titolo della poesia allude a una scivolata sulle nevi dell’Appennino settentrionale. È il sempiterno tema del potere della parola e della rivolta dell’uomo contro la tirannia. Argomenti quanto mai attuali. Perché in tutto questo c’è una cosa più vera di tutte: il progresso della scienza nel campo dell’informazione è un fatto di natura, e non può essere fermato dalla semplice volontà umana.

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