Dopo cinque anni di “prigionia” in un carcere di inutili legacci burocratici, rischia di durare poco più di un mese la libertà del Wifi in Italia, disposta dal governo, nell’ultimo Consiglio dei Ministri del 2010, attraverso l’abrogazione delle disposizioni contenute nella legge di conversione del famigerato decreto Pisanu.

Con una pioggia di emendamenti presentati al disegno di legge di conversione del Milleproroghe, infatti, i senatori Esposito, Tancredi, Saia, Viespoli, Baldassarri, Contini, De Angelis, Digilio, Germontani, Menardi, Pontone, Valditara, D’Alia e Malan sembrano intenzionati – sebbene con intensità e gradazioni diverse – a modificare la norma varata dal Governo ed ad affidare al Ministero dell’Interno il compito di stabilire con un decreto da emanarsi entro trenta giorni, le ipotesi nelle quali si renderà necessario procedere all’identificazione degli utenti cui si consentirà l’accesso ad Internet, attraverso una rete wifi o un posto pubblico di connettività.

Ecco il testo dell’emendamento presentato dal sen. Malan, non molto diverso da quelli presentati dai suoi colleghi: “Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con decreto del ministro dell’Interno, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono stabilite le ipotesi in cui si rende necessario il tracciamento di dati identificativi del dispositivo utente o la preventiva identificazione, anche indiretta, dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate, ovvero punti di accesso pubblici a tecnologia senza fili, per accedere alla rete internet”. Il wifi italiano, rischia, dunque, di tornare in un regime di libertà condizionata.

Per dovere di cronaca e completezza di informazione è, peraltro, opportuno segnalare che il sen. Malan, in un commento ad un post di Massimo Mantellini, nelle scorse ore, ha dichiarato di aver già provveduto al ritiro del proprio emendamento, presentato quando ancora non si sapeva che il governo avrebbe abrogato le disposizioni in questione. Non c’è ragione per non credere al senatore, anche se è difficile comprendere come degli emendamenti alla legge di conversione del decreto legge Milleproroghe come quello in questione siano stati presentati prima dell’approvazione del decreto legge e, dunque, prima dell’abrogazione del cosiddetto decreto Pisanu.
Corre, d’altra parte, l’obbligo di segnalare che negli emendamenti in discussione al Senato (cfr. 2.613) quello del senatore Malan risulta ancora riportato e che nel suo intervento in commissione, il 27 gennaio scorso, il senatore sembrerebbe non aver dato atto dell’intenzione di ritirarlo.
Mai, come in questo caso, il proverbio ordine, contrordine, uguale disordine risulta indovinato.

Dopo cinque anni di inutile e controproducente vigenza, finalmente, il governo aveva deciso di abrogare – deve ipotizzarsi dopo attenta ed approfondita valutazione – le previsioni contenute nel famigerato decreto Pisanu e, ora, dopo appena un mese, c’è già qualcuno che propone di limitare di nuovo l’accesso alle reti wifi. Come se non bastasse, peraltro, non si propone una soluzione definitiva ma si delega il governo a riflettere e trovare una soluzione (cinque anni non sono, evidentemente, stati abbastanza!) entro trenta giorni dall’approvazione della legge.

Se tutto va bene, quindi, solo in primavera l’Italia potrebbe scoprire cosa il gestore di un bar che voglia condividere le proprie risorse Wifi con i propri clienti debba fare per mettersi in regola. Il problema non è di contenuti, ma di metodo: dopo cinque anni non si abroga una norma che, invece, si intende sostituire e, soprattutto, dopo che la si è abrogata, non si propone di sostituirla attraverso ulteriori norme, la definizione del contenuto delle quali si rinvia ad un momento successivo. L’incertezza del diritto è nemica giurata del progresso e dell’innovazione e, continuando di questo passo, ci vorranno decenni prima che il Paese scopra che per andare online da un bar non serve la carta di identità.

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