Le due visioni di libertà individuale citate (leggi la prima parte) sono compatibili entrambe con uno spirito sinceramente democratico quale quello che si rimette, sempre e comunque, al volere della maggioranza democraticamente espresso. I “cattolici” lo hanno dimostrato in tema di divorzio e aborto, i “laici” lo dimostrano in materie quali la manipolazione degli embrioni umani, il matrimonio tra omosessuali o l’eutanasia, vissute dagli uni, piuttosto che dagli altri, come vittorie oppure sconfitte civili. La democrazia non è la forma più perfetta di governo, ma solo la migliore che conosciamo: in democrazia dobbiamo perciò essere tutti un po’ sanamente “relativisti” e soggiacere, come male minore, alla volontà della maggioranza legittimamente espressa. I temi citati che dividono “laici” e “cattolici” sono quanto mai trasversali: non sono propriamente né di destra, né di sinistra. Se bastano per dividere, non bastano però per unire: vale perciò la pena di rinunciare, solo per queste divisioni, ad un più ampio denominatore comune di idee, nelle materie opinabili, tale da costituire il programma di un partito? Secondo alcuni, determinate battaglie civili sarebbero così caratterizzanti un programma politico che sancirebbero delle differenze assolutamente insanabili. Secondo altri, invece, queste questioni potrebbero essere lasciate alla libertà di coscienza individuale. Il sistema maggioritario, però, impone di fare di necessità virtù: meglio allora tornare al proporzionale che rispecchia più fedelmente le diverse opzioni ideologiche e magari alla vecchia Dc che, pur non essendo un partito confessionale, aveva il monopolio del voto cattolico?
Il nocciolo del problema è questo: l’idea di un limite all’agire umano, tale da vietare dei comportamenti pure possibili, è compatibile con una piena libertà individuale? Nel legiferare bisogna agire “etsi deus non daretur”, come se non vi fosse un dio, oppure “veluti si deus daretur”, come se vi fosse comunque la consapevolezza di un limite? Il clericalismo è duro a morire, ma la «sana laicità» implica l’effettiva autonomia delle realtà terrene dalla sola sfera ecclesiastica, non certo da un ordine morale! Ognuno avrà il suo ordine morale, si obietterà, ma il relativismo non è altro che la riproposizione delle vecchie teorie sofistiche. Il relativismo non porta da nessuna parte: infatti fu superato da Socrate, Platone e Aristotele. Riporto il pensiero di un autore di storia della filosofia:“Da che cosa è caratterizzata la sofistica? Dal dominio dell’opinione, dalla convinzione che la verità non possa essere raggiunta. Viviamo in un’epoca dominata dall’opinione, dalla sfiducia nella possibilità di raggiungere la verità, dallo scetticismo, e il dominio dell’opinione si fa sentire oggi con mezzi più potenti che all’epoca sofistica greca, cioè con i mezzi di comunicazione di massa. I modelli di esistenza vengono imposti da creatori di opinioni, non certo ispirati da filosofi o da chi si sforza di indagare la verità. Il relativismo e lo scetticismo nella conoscenza, che comportano l’individualismo e l’egoismo nella vita pratica, possono essere sconfitti perché sono logicamente infondati. Sofistica vuol dire regno dell’opinione, sfiducia nella possibilità di raggiungere la verità, quindi relativismo, scetticismo, soggettivismo, e di conseguenza individualismo. Ma le filosofie sono coerenti: se sarò soggettivista nella conoscenza, sarò di conseguenza soggettivista anche nella morale: la morale sofistica si configura pertanto come centrata sull’individuo, quindi prende l’aspetto o di edonismo (vale a dire che il bene viene fatto coincidere col piacere, che è qualche cosa ovviamente di individuale), o di utilitarismo (il bene viene fatto coincidere con l’utile). La morale sofistica, coerentemente con le sue premesse conoscitive e ontologiche, sarà una morale o edonistica o utilitaristica. C’è poi un’esasperazione di questa tendenza nella seconda sofistica. La seconda sofistica, come spesso avviene per la continuazione di qualche cosa di originario, è un peggioramento, una degenerazione della prima sofistica: in essa si avrà la nascita del fenomeno — anch’esso oggi attuale — del “positivismo del potere”: non soltanto la ricerca dell’utile, ma la pretesa che tutti gli altri debbano essere subordinati al mio utile. Il positivismo del potere implica una decisa presa di posizione per il fatto che il più forte ha ragione di vincere, ha ragione di sottomettere i più deboli, in quanto l’unico criterio di validità è dato da ciò che ha successo, ciò che si impone. A prescindere dal fatto che si imponga con la forza o senza forza, ha sempre ragione chi vince. Nella degenerazione estrema della sofistica, si afferma il positivismo del potere”.
In conclusione, l’unica soluzione di civile e democratica convivenza in materie laceranti quali quelle citate è la libertà di voto: consentire in queste materie lo scrutinio segreto per rispettare poi tutti il volere della maggioranza parlamentare. Laici e cattolici sono reciprocamente impersuasibili! E’ evidente che la maggioranza sarà trasversale e che le materie opinabili (che ci vedono divisi per partiti al momento del voto) poco abbiano a che fare con scelte per le quali qualcuno ritenga di essere di fronte a valori assoluti non negoziabili. Obiettare che “non esistono verità assolute” è però un’affermazione, anch’essa assoluta, che smentisce sotto il profilo logico il neosofista che la pronuncia. Se non si può negare in assoluto l’esistenza di certezze, non si può tacciare nessuno di dogmatismo: si può solo, al massimo, sottometterlo al voto democratico.