La riforma del Trattamento di fine rapporto (Tfr), entrata in vigore a inizio 2007, mirava a un suo progressivo abbandono a favore della previdenza integrativa.
Perché il disegno è fallito, malgrado i ripetuti e concordi inviti di governo e opposizione, sindacati e Confindustria, organi d’informazione ed economisti? Perché l’80% degli occupati, secondo una recente pubblicazione della Banca d’Italia, rifiuta fondi pensione, polizze previdenziali e simili? La colpa (o il merito) è solo degli inviti di Cobas, Cub e Beppe Grillo?
Per cercare di fornire risposte a tali domande la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (CRT) ha organizzato il 19 gennaio 2011 la tavola rotonda “Il Tfr non va in pensione”, da me curata, con la partecipazione di Giuseppe Altamore (Famiglia Cristiana), Aldo Barba (Università di Napoli), Andrea Brero (Università di Torino), Alide Lupo (avvocato) e Felice Roberto Pizzuti (Università La Sapienza di Roma).
Alcuni m’hanno chiesto il testo del mio intervento introduttivo: eccolo.
A conti fatti… meglio il TFR
Da matematico ho voluto rifare qualche conto sul TFR e sulla previdenza integrativa, conscio di ricordare quegli antipatici professori che riempiono di segni blu i compiti degli allievi. Fatto sta che i pretesi vantaggi di fondi pensione risultano ribaltati a favore del TFR.
Valutazioni ex ante
1. Il TFR: un baluardo contro l’inflazione
Viene ripetutamente affermato che il TFR protegge dall’inflazione, solo finché essa non supera il 6% annuo.
In realtà il suo meccanismo tutela in pieno la somma netta accantonata dall’erosione del potere d’acquisto anche con un’inflazione molto più alta, per es. del 9% per dieci anni consecutivi.
2. Vantaggi fiscali minimi
Insistentemente viene sottolineato la forte convenienza fiscale di fondi pensione e affini.
In realtà per un lavoratore giovane, soprattutto con redditi bassi, tale vantaggio è modestissimo. Restando 40 anni dentro la previdenza integrativa, esso è nell’ordine di un modesto 0,50% annuo e quindi inferiore già solo ai costi espliciti.
3. Il contributo datoriale non è un toccasana
Viene ripetuto che il contributo del datore di lavoro fa sì che il trasferimento del TFR ai fondi pensione sia comunque conveniente.
Non è vero: con un minus annuo medio già solo del 2,5% rispetto al TFR accade il contrario: il lavoratore rimasto col TFR dopo 20 anni ha un capitale superiore malgrado il contributo datoriale; e negli anni ’60 e ’70 il minus fu nell’ordine del 6% annuo.
Valutazioni ex post
4. Confronto ingannevole della Covip
L’organo di vigilanza Covip si affrettò a pubblicare una simulazione da cui risulterebbe il vantaggio della previdenza integrativa dal 1982, data di partenza del TFR, a fine 2004.
Per ignoranza (o in mala fede) la Covip ha però dimenticato (o nascosto) che di sicuro non si sarebbe ripetuto l’andamento finanziario osservato. Le performance del reddito fisso dal 1982 al 2004 furono frutto di un crollo dei tassi nominali, passati in particolare per i Btp dal 20,9% al 3,4%. Per chi entra ora nei fondi pensione è impossibile che ciò si ripeta: i tassi nominali non possono andare sotto zero e tanto meno scendere di 17,5 punti.
5. Brutti precedenti… tenuti nascosti
Il Corriere della Sera ripete in continuazione e ossessivamente che “i fondi pensione sul lungo periodo ce l’hanno fatta anche nello scenario più nero” rispetto al TFR. A tal fine riporta confronti targati Progetica, per es. in un articolo di Roberto E. Bagnoli e Massimo Fracaro (“Il TFR perde la sfida con la macchina del tempo”, CorrierEconomia, 9-2-2009, p. 20-21), dove verrebbe appunto esaminato “il peggior periodo”.
In realtà sceglie sempre intervalli temporali che fanno comodo all’industria della previdenza integrativa. I vent’anni da fine 1962 a fine 1982 evidenziano invece le falsità contenute nell’articolo: all’andamento dei mercati finanziari di quel periodo corrisponde una perdita reale del 73% per un fondo pensione in titoli di Stato e dell’81%, se in azioni italiane, contro un calo col TFR solo del 18%. Proprio “nello scenario più nero” il TFR si conferma come un gioiellino di sicurezza.
Per approfondimenti si vedano le mie pagine web al Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino.