Il bunga bunga applicato alle istituzioni si intensifica su ogni fronte dell’offensiva contro magistratura, Presidenza della Repubblica, Parlamento sempre più scavalcato, espropriato e ridotto a parco saldi da fine stagione.
Dopo l’ultima favola del premier “dialogante” tutto proteso al rilancio dell’economia e dedito ai problemi del Paese, sotto la regia del consigliere delle emergenze, il sempre intelligentissimo Ferrara, il presidente del Consiglio da Bruxelles ritorna sul refrain della persecuzione: “Io mi sono sempre difeso, sono il soggetto universale che si è difeso di più perché più attaccato e gli italiani assistono a questa vergogna nazionale e condividono la nostra opinione che siamo una repubblica giudiziaria commissariata dalle procure”.
I richiami del presidente della Repubblica sull’abbassamento dei toni e sul reciproco rispetto tra le istituzioni sono stati ancora una volta ostentatamente ridicolizzati sotto i riflettori internazionali. Con l’ulteriore non irrilevante dettaglio che contestualmente il capo del Governo ha rivendicato la legittimità del decreto istantaneo, senza preventiva comunicazione al capo dello Stato e senza un ordine del giorno predefinito, sul cosiddetto federalismo fiscale, per ribaltare il voto della Commissione bicamerale.
Nell’urgenza irrefrenabile imposta dal cumulo giudiziario che si sta addensando sul carnet dell’imputato alla presidenza del Consiglio, il governo ha ignorato il voto in commissione, ha convocato hic et nunc un consiglio dei ministri straordinario per emanare un decreto legislativo fuori dalle procedure dando per scontata la firma di Napolitano, che nel rispetto delle regole lo ha respinto e rimandato al governo per un nuovo passaggio alla Camere .
Peraltro il capo dello Stato non è entrato nel merito dei contenuti e ha considerato il provvedimento irricevibile, solo in quanto garante della legittimità delle regole e delle procedure. Sul piano del merito, basterebbe citare en passant le osservazioni del presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo che ha liquidato “il federalismo municipale” come “una bestemmia” e nel rispetto delle parole lo ha definito “autonomia finanziaria” dei Comuni, qualcosa che non c’entra nulla con “il federalismo che è il processo di unificazione progressiva di stati che erano sovrani verso un unico stato gestore”. E si domanda “cosa c’entra il federalismo con l’autonomia finanziaria dei Comuni decisa dal Parlamento nazionale?” Peraltro in assoluta sintonia con un sostenitore totale delle istanze del nord est come Cacciari che si chiede “come si fa a raccontare la balla che con questo cosiddetto federalismo non aumenterà l’imposizione e che di federalista ha solo la chiacchiera di Bossi”?
E’ chiaro che in cosa consista quello che viene spacciato per federalismo e cosa comporti veramente per i contribuenti non interessa a nessuno; quello che serviva era dare un’ immediata contropartita, con qualsiasi strumento e in spregio ad ogni procedura, alla monolitica fedeltà dell’alleato leghista nell’ostacolare la richiesta di autorizzazione alla perquisizione dell’ufficio del ragioniere pagatore delle olgettine, delle romane, delle baresi, della mamma di Letizia Noemi e di tutti gli ausiliari al seguito.
Ma lo spettacolo istituzionale di questi ultimi giorni, persino da un punto di vista “estetico”, con la maggioranza festante alla Camera per “la vittoria” fondata sull’assunto che gli atti della procura di Milano andavano respinti al mittente perché Berlusconi ha telefonato alla questura nell’esercizio delle sue funzioni per il nobile fine di evitare tensioni internazionali a causa della nipotina di Mubarak, ha superato anche l’abbuffata di mortadella e champagne della caduta di Prodi. Vedere, per esempio, dai banchi della maggioranza Rocco Girlanda, già noto alle cronache per gli appalti del G8, con i medi minacciosamente alzati contro i nemici del munifico capo, convinto (politicamente) come le olgettine che “finché c’è lui mangiamo”, rende molto plasticamente la vicinanza tra il privato e il pubblico, tra le notti di Arcore e i pomeriggi di Montecitorio.