Con la modalità sul web i controlli sono più difficili: "Il rapporto con il mezzo tecnologico facilita il ripetersi dell'esperienza e consente l'accesso in modo semplice, da casa e dal lavoro". I monopoli osservano. E aspettano di incassare tra i 3 e i 6 miliardi
Stiamo parlando del poker online in modalità cash, quella più aggressiva di tutte, in cui non c’è più un ammontare stabilito dal torneo, ma il giocatore si siede, paga e può più facilmente perdere forti somme.
In Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato pochi giorni fa il decreto dei Monopoli di Stato che autorizza anche in Italia questo nuovo gioco. Un giro d’affari potenzialmente enorme, stimato inizialmente intorno ai tre miliardi e mezzo di euro, e fino a sei quando sarà a regime.
Un vero affare per gli operatori del settore, ma anche per lo Stato che si metterà in tasca una imposta unica del 20%, al netto delle vincite distribuite ai giocatori. A spartirsi la torta saranno i concessionari che già hanno le licenze, oltre ai nuovi player (le autorizzazioni disponibili dovrebbero essere duecento) che arriveranno anche dall’estero.
I giochi dovrebbero partire in primavera: assieme al poker cash, la cui posta massima iniziale non potrà essere superiore a 1.000 euro, ci saranno anche i cosiddetti casinò games, sempre online, ovvero quei giochi che replicano le specialità delle case da gioco tradizionali. Un altro bel giro d’affari stimato intorno ai tre miliardi annui, che però al momento è frenato dal mancato avvio delle Slot online (rinviato per non interferire con l’avvio delle Videolottery).
Il tutto si sommerà ai giochi già disponibili: solo il poker in modalità torneo online, per fare un esempio, nel 2010 ha accumulato una raccolta di 3 miliardi. La speranza dei player del settore, naturalmente, è che le giocate subiscano un ulteriore picco.
Il rovescio della medaglia è che con questi giochi un sacco di persone rischiano di rimetterci la salute. Mentale, fisica ed economica. Secondo gli ultimi dati, pubblicati a fine anno proprio dai Monopoli di Stato e da Lottomatica in collaborazione con la Sapienza di Roma, le persone a rischio di “ludopatia” in Italia sono quasi mezzo milione.
Come sanno bene gli psicologi e gli psicopatologi che quotidianamente si trovano ad avere a che fare con i comportamenti compulsivi legati al gioco, a provocare i danni maggiori, tradizionalmente, sono le cosiddette “macchinette” da bar.
Il mondo del web però è ancora relativamente poco esplorato ed ha grandi potenzialità di sviluppo, anche in negativo. Sempre secondo la ricerca della Sapienza, fra coloro i quali utilizzano il web (intorno agli 1,3 milioni di italiani) per poker e scommesse, il 9,7% è potenzialmente a rischio dipendenza.
La maggior parte dei giocatori, comunque, non cade nella trappola. Anche gli specialisti concordano nel sottolineare che i giochi di questo genere non sono automaticamente da “criminalizzare” e sarebbe controproducente cercare di proibirli. Ma la preoccupazione c’è.
«Quello che si apre è un altro versante delle cosiddette dipendenze tecnomediate che in generale hanno un certo potere additivo. Il rapporto con il mezzo tecnologico facilita il ripetersi dell’esperienza e vi consente l’accesso in maniera ormai semplice, da casa e dal lavoro» spiega al fattoquotidiano.it Daniele La Barbera, ordinario di Psichiatria all’Università di Palermo e direttore dell’Unità operativa complessa di riabilitazione psichiatrica e psicologia clinica del capoluogo siciliano, oltre che uno dei massimi esperti di ludopatie a livello nazionale.
Tenendo conto del fatto che nei periodi di crisi «le condotte di gioco tradizionalmente aumentano – aggiunge l’esperto – dobbiamo aspettarci un buon successo da questa nuova modalità e verosimilmente l’aumento di possibili situazioni di dipendenza, per i soggetti che hanno una predisposizione di questo tipo. Quello che mi ha impressionato, per i giochi online e in particolare il poker è come sia stato preparato il terreno a suon di potenti campagne pubblicitarie».
Esistono politiche di prevenzione in questo senso? In parte gli operatori privati mettono in campo delle iniziative di sensibilizzazione, previste anche in coordinazione con i cotrollori statli. E lo Stato qualcosa fa, ma una vera rete di controllo non sembra esistere.
«I Sert – spiega La Barbera – hanno messo in campo delle forme di supporto nei casinò e nelle ricevitorie, ed esistono collaborazioni fra il pubblico e i privati, che alla fine non hanno interesse a che i loro clienti cadano nella patologia. Certo con l’online il controllo è più difficile perché avviene in una sorta di anonimato, in un contesto meno sociale».
«L’amministrazione – ha dichiarato a novembre il direttore generale dei Monopoli di Stato, Raffaele Ferrara, commentando i dati della Sapienza sulle ludopatie – non può limitarsi a creare gettito erariale, sottovalutando i rischi per la socialità e il vivere civile. Quello che mi preoccupa di più sono i minori».
Nella stessa occasione il sottosegretario all’Economia Alberto Giorgetti annunciò un incontro imminente con il ministero della Salute, spiegando che per i soggetti «affetti da gioco compulsivo e ludopatia» serviva «una rete nazionale di prevenzione e cura».
L’iniziativa per ora sembra essere in stallo. Nella legge di stabilità di fine anno è stato inserita una generica indicazione ad avviare un programma di contrasto alla ludopatia. A fine dicembre, all’esame in Senato, l’aula ha bocciato tuttavia l’emendamento, proposto dal Pd con cui si chiedevano nuove misure di prevenzione e cura.
La proposta che aveva già ricevuto una bocciatura in commissione Bilancio di Palazzo Madama: “I livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria e socio-assistenziale per tutti i disturbi e le complicanze che si diagnosticano come conseguenza del gioco d’azzardo patologico fossero a carico del Fondo sanitario nazionale e del Fondo per le politiche sociali”.
I centri per lo svolgimento di tali cure avrebbero dovuto essere scelti dal Ministero del Lavoro. Anna Finocchiaro, capogruppo al Senato del Partito Democratico, aveva chiesto che fossero destinati 10 milioni per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, da accumulare in un apposito fondo, ma non c’è stato niente da fare.
Lo Stato per ora osserva. E incassa, anche se ancora poco. Gli ultimi dati sull’investimento internet del fisco nel mondo del gioco parlano di un ritorno netto per l’erario di 70 milioni di euro per il 2009. Somma cresciuta nel 2010 fino a circa 94 milioni di euro. E visti gli sviluppi destinata ad aumentare.