E’ l’altra faccia della medaglia del sistema che, nel secondo ventennio più turpe della storia del nostro paese, ci ha resi assuefatti riscrivendo il modo di pensare e di ragionare, trasformando in tifo da stadio qualsiasi discussione che riguardi temi politici. Anzi. La politica non c’è proprio, c’è uno Stato paralizzato gestito da una classe dirigente che annaspa di fronte a un popolo che, nella migliore delle ipotesi, è fatto da guardoni (sì, certo, poi fra i guardoni c’è anche qualcuno che prende posizione e, perlomeno, critica).
Eppure, dicono, C’è un’italia migliore. E’ il titolo di un libro di Nichi Vendola e La fabbrica di Nichi. Il libro è pieno di concetti talmente condivisibili da risultare disarmanti: propone un’analisi molto semplice all’Italia-qui-e-ora, e alcune ricette per cambiarla. Dal sociale alla cultura, dalla banda larga al precariato, da una nuova idea della vita urbana al fisco: difficile non essere d’accordo con una visione della vita che mette al centro la persona, il benessere collettivo.
Ma, al tempo stesso, apre a punti interrogativi importanti. Perché quei concetti sono lenti, e la società dello spettacolo, oggi, è veloce. Troppo veloce, troppo spettacolare, troppo aggressiva e neoliberista persino nelle sue pratiche quotidiane.
Ne parleremo questa sera, martedì 8 febbraio, a Torino, al Café Liber alle 21. Insieme al sottoscritto, per presentare il libro e discuterne, ci saranno Valentina Pazé, ricercatrice in Teoria dei diritti umani, e Francesco Tuccari, professore ordinario di Storia delle dottrine politiche, entrambi dell’Università di Torino.
E mi piace lanciare lo spunto qui, e chiedere a voi lettori, anche a coloro che non potranno esserci: c’è un’Italia migliore?