Da ieri è nato il 54esimo stato dell’Africa, il Sudan del Sud. Ieri il presidente sudanese Omar Hassan al Bashir ha preso ufficialmente atto della volontà degli abitanti delle regioni meridionali che hanno deciso di costituire la loro nuova nazione. Su quattro milioni di votanti, il 98,8 per cento ha detto sì all’indipendenza. Il presidente provvisorio del Sud Sudan, Salva Kiir ha detto che il Sud e il Nord devono avere rapporti forti.
Alier Ruai Deng, ambasciatore a Roma di Karthoum e uomo forte del governo centrale dice al fattoquotidiano.it che “il Nord rispetterà l’esito del referendum” anche se non nasconde che la strada dell’indipendenza delle regioni sudiste è ancora lunga e i nodi da sciogliere tanti. A partire dal controllo delle zone petrolifere sulla linea di confine.
Ambasciatore, il Sudan del Sud ha votato in blocco per la secessione. Il National congress party, il partito di governo del Nord, come reagirà?
Dopo anni di guerra civile, la consultazione è stata indetta sulla base di accordi precisi: il Comprehensive Peace Agreement. L’Ncp e il Movimento di liberazione del Sud dovranno giungere alla pace. Forse il Nord ha sbagliato qualcosa se il consenso dei sudanesi del sud alla scissione è così massiccio. Ma il Nord non ha altra scelta se non quella di rispettare l’esito del voto.
A tale riguardo siete sotto stretta osservazione anche da parte della comunità internazionale.
Infatti. Assieme al presidente americano Barak Obama e ai paesi confinanti (Etiopia, Uganda, Kenya ed Egitto, ndr) abbiamo firmato un documento. E la comunità internazionale ha vigilato affinché il referendum si svolgesse il 9 gennaio 2011, cosa che è avvenuta regolarmente. Ora il problema è il livello di fiducia che il Sud saprà riporre verso il Nord.
Di recente Kathoum ha schierato le truppe lungo la linea di confine.
La comunità internazionale ci ha chiesto di rispettare l’esito del referendum. Se così non fosse andremmo di nuovo alla guerra. E nessuno la vuole.
Quella del Sud è una scissione o un atto di indipendenza?
Qualcuno la chiama scissione, altri indipendenza. Se fosse un atto di indipendenza dovremmo ammettere che c’è stato un rapporto coloniale tra Nord e Sud e questo non è vero. Il Sud riuscirà a mantenere la scissione e a configurarsi come Stato? E’ una grossa sfida.
Cosa devono fare le regioni meridionali per assumere la dimensione di uno stato nazione propriamente detto?
Cosa vuole che facciano dopo solo cinque anni dalla fine del conflitto? Forse è anche colpa nostra, ma nel Sud mancano le basi per costruire uno stato: le infrastrutture, un buon livello d’istruzione, le strade. Ma soprattutto hanno un problema di risorse umane: mancano i cervelli per costruire il Paese.
Il Sud anche se distrutto ha il petrolio. Reggerà l’accordo sulle risorse petrolifere?
E’ vero che gli esperti dicono che l’80 per cento del greggio è prodotto dal Sud. La scissione del Paese crea un problema, perché gli abitanti del Sud hanno pensato all’esportazione dell’oro neri non attraverso il Nord, ma passando da altri paesi come il Kenya o il Camerun. Ora per fortuna hanno capito che il Nord è il crocevia essenziale per l’esportazione. L’accordo tra i leader politici dei due paesi è essenziale: coopereremo. Lo ha dichiarato di recente anche il presidente Omar Al Bashir.
Quale sarà il nome della nuovo stato?
La discussione è aperta. Girano nomi come “The Kusch”, “Repubblica di Imatong” o “Repubblica del Nilo”. Probabilmente, per un po’ manterranno il nome di Repubblica del Sudan del Sud.
di Stefania Pavone