A Daniele Belotti viene contestato il reato di concorso esterno in associazione a delinquere. Dopo due anni di inchiesta, all'alba di oggi è scatto il blitz. Sequestrati mazze, coltelli e armi varie utilizzate durante gli scontri. Il gruppo indagato è accusato dell'assalto al ministro dell'Interno
L’assessore al Territorio della Regione Lombardia Daniele Belotti è indagato dalla procura di Bergamo nell’ambito di un’inchiesta sul tifo atalantino organizzato: al politico leghista è contestato il concorso esterno in associazione a delinquere per presunti legami con la frangia più violenta della curva nerazzurra. Secondo gli investigatori sarebbe nientemeno che l’ideologo della tifoseria. Una posizione imbarazzante, visto che il gruppo di ultras finito nel mirino è accusato anche di aver organizzato l’assalto al ministro dell’Interno (e compagno di partito) Roberto Maroni nell’agosto scorso, per protestare contro la tessera del tifoso. Un episodio da cui, per la verità, lo stesso Belotti s’era immediatamente dissociato. “Il mio ruolo di mediatore tra le istituzioni e la tifoseria è noto da almeno vent’anni – ha spiegato Belotti -. Di certo non possono attribuirmi atti violenti, ai quali non ho mai partecipato. La mia è sempre stata un’opera di mediazione, in cui ho sempre messo la faccia”.
E’ una vera bufera quella che si è abbattuta stamattina su Bergamo: 35 perquisizioni effettuate, 104 indagati in totale. Sei di questi, tutti noti ultrà, hanno un’imputazione pesantissima, mai contestata prima ai violenti del pallone: associazione a delinquere. Secondo i magistrati il gruppo pianificava gli scontri allo stadio, coordinandosi con telefonate intercettate dagli investigatori. “Se domani va male sarà violenza”, è una delle frasi captate. L’attività di ascolto avrebbe permesso di scongiurare un assalto prima di Atalanta-Napoli del 6 gennaio 2010.
In alcune di queste conversazioni sarebbe incappato anche il Belotti. Per questi sei personaggi la pm Carmen Pugliese aveva chiesto la custodia cautelare in carcere, ma il gip ha detto no. Il leader della tifoseria, Claudio Galimberti, 37 anni, se l’è così cavata con un divieto di dimora a Bergamo, altri due ultras di spicco, di 25 e 26 anni, si dovranno sottoporre all’obbligo di firma in caserma. Per tutti gli altri, i reati vanno dalla rissa all’adunata sediziosa, dai danneggiamenti alle lesioni personali.
Il blitz, dopo due anni di indagini, è scattato stanotte alle tre: ottanta agenti hanno perquisito le case dei tifosi, trovando mazze, bastoni, lanciarazzi e passamontagna. Un arsenale che serviva a ingaggiare battaglia con le forze dell’ordine e le fazioni avversarie. Episodi iniziati prima di Atalanta-Catania di due anni fa, e proseguiti con gli scontri in occasione di una sfida con l’Inter.
Ma nella lista c’è anche un sit in minaccioso nel gennaio 2010 davanti alla Questura, poi una dura contestazione davanti al centro sportivo atalantino a Zingonia. A tirare le fila sempre gli stessi personaggi, spesso consolati e giustificati dagli stessi giocatori e dirigenti atalantini. Dopo Atalanta-Catania, in base alle intercettazioni, quattro calciatori si sarebbero recati a far visita a due ultras agli arresti domiciliari, portando in dono anche maglie da gioco.
“Abbiamo aperto una finestra su un panorama inquietante – ha spiegato la pm Pugliese – . Una situazione che era sotto gli occhi di tutti ma che non si voleva evidentemente vedere. Il gip non ha condiviso l’accusa di associazione a delinquere, ma noi la porteremo avanti. Vedremo al processo”. Pesante il giudizio morale su calciatori e dirigenti, anche se su di loro non pende nessuna accusa: “Abbiamo riscontrato un asservimento di alcuni protagonisti del calcio verso questi signori – ha infierito la pm – Anziché stigmatizzare le violenze chiedevano scusa per la sconfitta”.
di Paolo Grasso